La guerra dei sei giorni, memoria per il futuro

RIVOLUZIONE CULTURALE Solo un giro di vite, in primis culturale e poi necessariamente politico, potrà avvicinare i due fronti verso una pacifica convivenza.

Lodi

Il 5 giugno 1967 il presidente israeliano Eshkol cedette alle pressioni del comando militare di Ariel Sharon e autorizzò l’operazione Focus, una massiccia incursione aerea nella regione del Sinai, che diede inizio alla guerra dei sei giorni. Il fronte composto da Egitto e Siria (la Repubblica Araba Unita) e dal regno di Giordania, supportato dalle forze irachene, yemenite e libanesi, fu colto alla sprovvista dalla potenza di fuoco dell’aviazione israeliana. La supremazia aerea accelerò le successive vittorie terrestri. Il 7 giugno cadde la città di Hebron e l’intera Cisgiordania. Due giorni dopo fu vinta pure la resistenza siriana con l’occupazione dell’altopiano del Golan. Questa guerra-lampo ebbe un grande impatto. La narrazione palestinese ricorre all’idea di “naksa”, ovvero di sconfitta, ricaduta, battuta d’arresto, che rievoca una ferita ancora aperta, la lotta per i diritti negati. Il concetto di “naksa” è strettamente intrecciato a un altro, quello di “nakba”, che nel mondo arabo indica la catastrofe della prima diaspora, al termine della guerra arabo-israeliana del 1948, quando 750 mila palestinesi furono costretti ad abbandonare le proprie case. La storiografia israeliana, invece, considera ancora fondamentale l’esito vittorioso della guerra dei sei giorni per il rafforzamento della presenza regionale dello Stato di Israele. Tuttavia, non mancano analisi dissonanti. Il politologo Ahron Bregman ha parlato infatti di «vittoria maledetta», di un trionfo che però avrebbe irrimediabilmente condizionato la storia israeliana nei decenni a venire: «Dopo essersi appropriato di quelle terre, Israele le sottopose quasi tutte a un governo militare assicurando che avrebbe condotto un’occupazione sinceramente “illuminata”. Tuttavia, come è ormai sempre più chiaro agli occhi degli storici, un’occupazione illuminata è una contraddizione in termini; e con il passare del tempo l’occupazione di Israele si è rivelata pesantissima. Il filo rosso di questa intera vicenda storica, che potrebbe essere definito come la vera tragedia del conflitto arabo-israeliano, è l’ampia serie di opportunità per risolvere la situazione, che sono andate perdute».

© RIPRODUZIONE RISERVATA