CARPIANO - Delitto Mormile, dopo i depistaggi l’ “atto finale” in tribunale

A 32 anni di distanza i due pentiti che hanno consentito le prime 5 condanne sono comparsi in udienza preliminare

Lodi

Su un’agendina di Armida Miserere, compilata negli anni del dolore dopo l’assassinio del compagno Umberto Mormile, c’era un appunto: Papalia. E i boss della ’ndrangheta Antonio Papalia e Domenico Papalia saranno poi condannati rispettivamente nel 2005 e nel 2011 come mandanti dell’omicidio di Mormile. Miserere, che nel 1990, quando Mormile fu crivellato con una 357 magnum a un semaforo della Binasca a Carpiano, non ha potuto sapere delle condanne, finora 5 per l’omicidio, perché nel 2003 fu trovata morta nella sua abitazione al carcere di Sulmona, con un colpo di pistola alla testa, considerato un suicidio. Nel ’90 dirigeva la casa circondariale di Lodi e abitava a Montanaso con Mormile, educatore carcerario in servizio a Opera.

Ieri mattina a Milano è arrivato davanti al gup Marta Pollicino il quarto procedimento in cui si parla dell’omicidio Mormile. Imputati, Vittorio Foschini, 63 anni, già condannato nel processo Wall Street sulla ’ndrangheta a Milano negli anni ’90, che ha preannunciato il patteggiamento in continuazione, difeso dall’avvocato Donatella Montagnani; e Salvatore Pace, 66 anni, difeso da Salvatore Verdoliva, che ha preannunciato l’abbreviato. Sono i due collaboratori di giustizia che hanno permesso di condannare i boss mandanti dell’omicidio Mormile e anche i due esecutori materiali, Antonio Schettini e Antonino Cuzzola. Nonostante un’iniziale archiviazione, superata dall’opposizione del fratello di Mormile, Stefano, con l’avvocato siciliano Fabio Repici, i due “pentiti” sono chiamati a rispondere di concorso nell’omicidio aggravato dalla modalità mafiosa, perché avrebbero fatto procurare armi e moto ai killer. «Questo giudizio non vuole essere un accanimento sui due collaboratori di giustizia ma un passo verso la verità», fa sapere Stefano Mormile.

Una delle prime versioni fatte circolare riguardo al movente era che Mormile, quando lavorava nel carcere di Parma, si sarebbe intascato 20 milioni di lire per fare relazioni favorevoli ai boss ma non avrebbe mantenuto la promessa illecita, un “tradimento” pagato con la vita: per il fratello, una maldicenza che aveva «ucciso due volte» Umberto. Di Mormile però, oltre che nei due (ora tre) giudizi per il suo omicidio, si è parlato anche nel processo ’Ndrangheta stragista a Reggio Calabria, dove era indirettamente emerso che Mormile a Parma si sarebbe accorto di alcune uscite premio anomale del boss Domenico Papalia “facendo rapporti negativi al Tribunale di sorveglianza” e, per zittirlo, qualcuno gli avrebbe offerto 30 milioni “per chiudere questa storia”, ma Mormile li avrebbe rifiutati aggiungendo: “Non sono dei servizi”. E secondo il pentito Foschini così avrebbe decretato la propria morte, perché “sapeva dei servizi segreti”. Cioè di incontri tra funzionari dello Stato e boss della ’ndrangheta. Il “protocollo farfalla” che doveva restare segreto. E non a caso il delitto Mormile sarebbe stato il primo rivendicato dalla Falange armata, come poi quelli della Uno Bianca. Non tutti chiariti fino in fondo, secondo l’avvocato Repici e il suo consulente Giovanni Spinosa, ex pm a Bologna.

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