
Visiti il castello di San Colombano, passi un paio d’ore in mezzo ai banini, ti fermi a bere un caffè in piazza prima di tornare in redazione e come una folgorazione capisci perchè quando ci fu l’entusiasmo collettivo per la nuova provincia di Lodi da queste parti restarono con i piedi per terra e fecero un referendum per tenersi Milano. Magari indovinandoci anche, a giudicare da come stanno andando le cose a Lodi. Stai a vedere. Fatto sta che qui in collina - quando l’inverno regala certe giornate fredde e pulite - le guglie del Duomo si vedono da qui. Milano sembra lì a portata di mano e scappa ogni tentazione di espatriare. Sarà che attorno a quello che chiamiamo castello (ma il termine è inesatto, si deve pensare a un borgo fortificato piuttosto)e che ai Belgioioso deve il nome attuale è stato per secoli l’avamposto dei Milanesi affacciato sui lodigiani. I quali stavano mica tanto lontano: erano acquartierati a Mombrione (nome che oggi evoca un ristorante), sul versante Nord-Est del colle. Logico che da queste parti ci si guardasse in cagnesco tra una parte e l’altra. Qualcosa di quella diffidenza, magari, si è sedimentato a livello inconscio. Fatto sta che l’accoglienza riservata a cronista e fotografo, l’amico Paolo Ribolini, è prodiga di informazioni e aneddoti sul castello. Anfitrioni sono Beppe Curti e Anna Porro de “Il Borgo e il Colle”, associazione culturale no profit di guide turistiche volontarie che dal 2003 valorizza il patrimonio storico-artistico e naturalistico di San Colombano al Lambro e del suo colle. Curti l’avrete visto: nelle rappresentazioni storiche fa il castellano e, da buon “padrone di casa”, apre le porte dell’ala del castello sopravvissuta a guerre e devastazioni e diventata l’abitazione dell’ultimo principe, Emilio Barbiano di Belgioioso d’Este, che qui morì nel 1943 . Il 5 settembre 1951 lo seguì la moglie, la principessa Maddalena Desmanet de Besme. Ultimi due nobili di una sequenza infinita di conti, visconti e imperatori che passarono da queste parti. Chi ci accompagna se la ricorda, la principessa Maddalena. In un’aiuola delimitata da una ringhiera ancora visibile, appena fuori dalle mura, seppelliva gli amatissimi cani. All’interno della (ex) ala nobile del castello ce n’è ancora una, dedicata a un bulldog nato il 5 maggio 1900 e morto il 19ottobre 1908. Un’altra, incredibilmente, sta in terra (alla mercé di chiunque) in quella che era una bottega o un’abitazione ancora in piedi, addossata all’interno della cinta muraria, sotto un’arco sul quale passava il camminamento di ronda. Antico e recente si sovrappongono senza soluzione di continuità in questo luogo che merita una visita non fosse altro per la possibilità di affacciarsi su alcune delle abitazioni medievali (oggi private e abitate) che ancora sono rimaste in piedi del borgo originale. Antico e recente, si diceva. Anche di molto recente come la veranda collocata nel cortile dal gestore del bar che avrebbe dovuto fare da volano alla rinascita del castello (su come sia finita ne abbiamo parlato più volte da queste pagine) e che invece resta un guscio vuoto in cui dorme un gatto. Ironia della sorte, si trova più o meno nel luogo in cui l’Ordine dei Certosini, per sei secoli feudatario del borgo, edificò un oratorio dedicato a Santa Maria Maddalena, decorato con affreschi di Bernardino Campi, affreschi che ancora resistono in una stanza, sopravvissuta alla sua distruzione. Ora nell’ala nobile c’è l’associazione della guide e di quella che organizza il palio dei rioni. Ci sono armature (meglio: copie) e mobili d’epoca e stanze con la tappezzeria in tela dell’Ottocento che fa ancora intravedere i sottostanti affreschi. C’è l’antica cisterna (visitabile). C’è ancora il raffinato impianto di condotte che garantiva il ricambio d’aria. C’è il testo della lettera che scrisse Petrarca di passaggio qui. Ma come si fa a raccontare tutti questi secoli di storia? Andate a visitarlo, il castello, e se è una bella giornata inerpicatevi in alto fuori dalle mura. Se fa bel tempo si vede Milano.
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