«La politica deve guidare l’economia»

Enrico Bosani, 50 anni, sposato con un figlio di 12 e dipendente della Provincia di Milano, è convinto da sempre che «per cambiare le cose bisogna impegnarsi in prima persona». Per questo è candidato alle regionali nella lista Per un’altra Lombardia. Etico a sinistra.

Ricorda il primo incontro con la politica?

«Il primo incontro è avvenuto ai tempi del rapimento Moro. Avevo 15 anni e incominciavo a muovermi in Democrazia proletaria. Poi nell’89 mi sono iscritto nel Pci per impedire la svolta. Da allora sono sempre rimasto in Rifondazione comunista. Attualmente sono segretario cittadino e membro del comitato politico regionale di Rifondazione».

Perché i lodigiani dovrebbero votarla?

«Penso di avere la pazienza che serve e la volontà di portare in Regione la voce dei movimenti che si oppongono al liberismo, alla devastazione del territorio, alla mancanza di opportunità e alla perdita dei diritti e dei salari. Non ho secondi fini, non difendo poteri particolari o grandi potentati economico-finanziari. E soprattutto, non sono un politico di professione, vivo del mio lavoro e vivo sulla pelle la crisi che ci sta attanagliando».

Cosa farà per il Lodigiano?

«Uno dei temi più ignorati è quello della casa, famiglie intere che dormono per la strada, che non riescono a pagare il mutuo. Serve una consulta regionale per la casa, un osservatorio sugli sfratti. Devono essere ristrutturate le case popolari esistenti, ricostituito il patrimonio immobiliare pubblico. Bisogna portare in Regione le lotte già fatte sul nostro territorio. Il Consorzio servizi alla persona è un ottimo esempio che può essere esportato, così come il fondo di solidarietà provinciale».

Cosa serve per una Lombardia migliore?

«Occorre per esempio un piano regionale per il trasporto pubblico, serio e finanziato. Bisogna bloccare le grandi opere, rivedere quelle in campo e spostare i fondi sul trasporto pubblico, sia su gomma che su rotaia».

Per aiutare le famiglie cosa serve?

«Serve un reddito minimo garantito per chi è uscito dal circuito lavorativo, per i giovani e per chi non ha un reddito».

Dove si trovano i fondi per questo?

«La Regione spende già 80 milioni in contributi vari dati a pioggia e che si potrebbero razionalizzare e redistribuire in maniera più precisa. Ha senso poi che la Regione mantenga 27 sedi all’estero, per non parlare poi delle consulenze? Altri fondi si possono recuperare anche con un oculato utilizzo del bilancio».

Come si esce dalla crisi?

«Rimettendo la politica in cima all’economia, in modo che le scelte economiche siano determinate dalle necessità sociali. Serve, nella nostra regione, una politica industriale seria che punti su un’industria tecnologicamente avanzata e che privilegi la produzione rispetto alla finanziarizzazione, che preveda un intervento pubblico per impedire la delocalizzazione e la deindustrializzazione del territorio».

Il pubblico come può intervenire sulle aziende?

«Servono incentivi per le industrie, ma gli incentivi vanno subordinati alla firma di un patto con valore legale: se gli imprenditori ricevono i finanziamenti devono mantenere fabbriche e macchinari nel territorio per almeno 15 anni, garantire assunzioni a tempo indeterminato e rivestire un ruolo sociale, guardando anche alle necessità esterne; se non lo fanno restituiscono i soldi».

E nelle fabbriche già in crisi?

«La Regione deve diventare parte attiva, puntare su una grande opera di riqualificazione. Abbiamo il mondo dell’università che crea eccellenze e quello del lavoro che fa acqua. Non è possibile creare un anello di raccordo tra queste due realtà? La Regione non può più essere una grande cassa che va al traino dell’economia reale, ma il pungolo e il punto di programmazione per la crescita economica e sociale di tutto il territorio lombardo».

Cri. Ver.

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