La schedina, un sogno tutto italiano

«La schedina tra le dita può cambiare la tua vita» cantava Toto Cutugno nella sigla iniziale di “Domenica In”, edizione 1987. Nazionalpopolare finché si vuole ma l’Italia e gli Italiani, trent’anni fa, erano quello: un Paese che la domenica pomeriggio si incollava la radiolina all’orecchio per ascoltare le cronache in diretta di “Tutto il calcio minuto per minuto” e segnare i risultati. Non è quindi un caso che il faccione imbronciato di Cutugno appaia, ritratto con quello di un giovanissimo Zucchero Fornaciari e di un altrettanto spettinato Vasco Rossi (con sigaretta d’ordinanza in bocca, altro che “politicamente corretto”) dal “Lottery Wall” dell’archivo storico del gruppo Sisal a Zeloforamagno, frazione di Peschiera Borromeo attaccata alla pista dell’aeroporto di Linate. Qui, per i 70 anni dalla nascita della prima schedina, il gruppo ha recuperato, catalogato e collocato 6mila documenti fotografici, rassegne stampa, circolari, 700 poster e affissioni varie, 800 nastri video, gadget vari (dalla penna all’adesivo) e, soprattutto, oltre 3mila schedine originali. Di cui circa 2mila (in copia) sono affisse sul “Lottery Wall” (il “muro delle schedine” su cui l’occhio del fotografo Paolo Ribolini scorge una Fanfulla-Carrarese del 26 gennaio 1947) permettendo di cogliere, con uno sguardo d’insieme, l’evoluzione di un’intera società. «Le schedine cambiano nel corso degli anni - sottolinea Cristiana Schiopu, curatrice dell’archivio e accompagnatrice in questo viaggio a ritroso nella memoria- non solo nell’aspetto grafico. Cambiano le pubblicità, gli sponsor, le iniziative benefiche riportate sul retro». Un cambiamento che segue l’evolversi di costumi e a volte l’anticipa: il Vasco Rossi ritratto con la sigaretta in bocca (immagine impensabile oggi) compare su una delle schedine con cui, nel 1983, era possibile votare i propri cantanti preferiti (anche se con il valore di una semplice consultazione) alla XXXIII edizione del festival di Sanremo, a cui il cantante di Zocca partecipò con quella “Vita spericolata” piazzata dai giudici al penultimo posto ma diventata poi un successo. Una cosa del genere successe quello stesso anno anche per Toto Cutugno. La sua “L’Italiano” si piazzò quinta ma il Belpaese inondò gli studi Rai di schedine con il suo nome incoronando lui (e non Tiziana Rivale e la sua dimenticata “Sarà quel che sarà”) vincitore morale del festival.

La schedina e il festival dei fiori, la schedina e il calcio, la schedina e le corse dei cavalli: dietro alle grandi passioni italiane (perchè questo era una volta il gioco, le deviazioni e le malattie sociali di questi anni ultimi tempi hanno radici ben differenti) c’era questa rettangolo di carta nato nel 1946, a solo un anno dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, con un’Italia ancora in macerie. Furono tre giornalisti sportivi - Massimo Della Pergola, Fabio Jegher e Geo Molo – ad avere l’idea di stimolare la rinascita dello sport (in anni in cui la gente faceva fatica a mettere insieme il pasto) e a ricostruire gli impianti sportivi danneggiati dalle bombe grazie a un concorso basato sui pronostici delle partite di calcio. I tre, il 3 settembre 1945 fondarono Sisal, acronimo di Sport Italia società a responsabilità limitata. Il 5 maggio 1946 fu giocata la prima schedina Sisal (che poi si sarebbe chiamata Totocalcio e, per le scommesse ippiche, Totip): 12 partite da indovinare scegliendo fra 1, X o 2, un montepremi da 463.846 lire di allora (una bella somma) e un investimento di 30 lire a colonna. Vinse tal Emilio Biassetti, 43enne milanese impiegato in una ditta farmaceutica. Il sogno italiano era nato. La schedina fra le dita poteva davvero, se non cambiare per sempre la vita, almeno aiutare a chiudere il mutuo, comprare un’automobile familiare, regalarsi la lavatrice. Era un di più, un appuntamento settimanale spesso preparato con amici e parenti con cui si condividevano “sistemi” e quote di spesa, magari seduti al tavolini del bar ricevitoria, sorseggiando un caffè o un qualche amaro strano in voga quegli anni. Poche settimane fa, per i 70 anni di quella prima vincita, la Sisal ha presentato il progetto Meic (Memoria, evoluzione e identità condivisa) che raccoglie nel sito www.unastorianatapergioco.sisal.com e soprattutto nell’archivio di Peschiera (la curatrice sottolinea che non si tratta di un museo, di certo del museo ha la medesima capacità di ipnotizzare il visitatore) un patrimonio di storia e costume che merita di essere aperto al pubblico. È per questo che l’archivio-museo, nei progetti futuri si sdoppierà: qui resteranno carte e documenti mentre a Milano aprirà una sede, ben più visibile per il grande pubblico e più affine all’idea di un museo vero e proprio. Nel frattempo le visite di gruppo, ovviamente previa prenotazione, sono ben accette. Unico limite è quello del divieto di accesso in questo luogo ai minori di 18 anni. Per quelle cervellotiche leggi tutte italiane che dovrebbero proteggere la nostra meglio gioventù qui si entra solo se maggiorenni. Una certa logica, a sforzarsi, la si trova. Obbligati a entrare in un museo d’impresa (quindi in un contesto dove c’è gente che lavora) e costretti a spegnere smartphone e diavolerie varie, gli inermi adolescenti rischierebbero addirittura di scoprire che negli anni Cinquanta i loro nonni, dopo essersi rotti il filo della schiena tutta la settimana a ricostruire l’Italia devastata dalla guerra, la domenica si riposavano in salotto con la radio accesa sul tavolo e la schedina fra le dita. Immaginatevi il trauma.

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