
Lodigiano e Sudmilano sono “stretti” tra due faglie, che sono fratture del sottosuolo lungo le quali si scarica l’energia del movimento delle placche terrestri. Sono quindi le “linee” dalle quali si generano i terremoti. Le mappe dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (una delle quali è riportata qui a lato) indicano molto chiaramente la situazione, e questi dati sono disponibili grazie alle ricerche condotte dall’Agip dagli anni ‘40 ai ‘70 per la ricerca di idrocarburi. Tra gli autori di queste ricerche c’è anche il geologo lodigiano Luigi Anelli, peraltro storico presidente della sezione locale di Italia Nostra.
Dottore, cosa ha pensato settimana scorsa quando ha sentito il terremoto?
«Quando ho saputo dove si è verificato, me lo sono spiegato con la nota esistenza dell’ “arco ferrarese”, costituito da strutture geologiche con un substrato di calcari, poco sepolte dagli strati alluvionali della pianura, che fanno da protezione, e che sono di recente formazione. Si tratta di strutture recenti ed è in atto uno scorrimento, bisogna capire per quali cause».
Ma a Lodi come siamo messi?
«Siamo in un “mondo” diverso. Dire che il Lodigiano insiste su due faglie è esatto, ma in realtà qui attorno esistono strutture molto più complesse. Abbiamo una faglia a sud, con strutture appenniniche nel sottosuolo tra Lodi, Cornegliano, Caviaga e Cremona, e a monte, fino a Caleppio e Settala, abbiamo invece quelle del Sud Alpino. Ma, a differenza della Romagna, sotto di noi ci sono migliaia di metri di depositi alluvionali, che tra l’altro sigillano le due faglie. Inoltre il sottosuolo del Ferrarese, di carbonati, ha una velocità di propagazione delle onde sismiche di 4,5 chilometri al secondo, il nostro al massimo di 3, 4 mila. E’ diversissimo. La situazione di San Colombano, dove affiora il vecchio fondale del mare che era in Val Padana, mi colpisce: c’è una faglia inversa di compressione, ma a mio parere avremmo un terremoto di magnitudo molto inferiore rispetto a quelli romagnoli di questi giorni. A San Colombano affiora la struttura geologica che a Caviaga, poco distante, è già sotto 1.250 metri di sedimenti».
Eppure ci sono stati terremoti storici a Lodi...
«Ho visto le tabelle, ma a mio parere i dati del passato sono in gradi Mercalli, basati sull’osservazione dei danni. La scala Richter, che esprime l’energia vera del sisma, è più recente».
Lei quindi a Lodi dorme sonni tranquilli.
«Sì, fino a quando non venisse un cataclisma che non è nelle previsioni per la natura geologica del contesto in cui viviamo. Un terremoto “nostro“ potrà sicuramente disturbarci, spaventarci, creare piccole crepe, non mi aspetto disastri. Il problema vero è che abbiamo una buona memoria storica dai 150 anni in qua, tempi che per la geologia non sono nulla».
Ma sentiamo le scosse romagnole.
«Probabilmente avvertiamo la componente ondulatoria, che viaggia in superficie. Chi va in montagna può aver sentito invece l’effetto della trasmissione attraverso le rocce di carbonati, a notevole distanza».
A suo parere, sul fronte delle costruzioni antisismiche come siamo messi?
«Io di edifici propriamente antisismici non ne ho ancora visti nel Lodigiano. Servono sistemi di ammortizzazione dalle fondamenta a quanto sta sopra. Ma le costruzioni moderne, con il cemento armato, che lavora sia in compressione sia, grazie ai ferri interni, in trazione, sono a mio parere sufficienti, in un’area come la nostra. Ovviamente più si sale in altezza, più il terremoto si sente».
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