Due (sgraditissime) visite di ladri in cerca di cimeli da piazzare sul mercato nero delle “memorabilia” e un gravissimo lutto a febbraio, quello della sorella Giovanna Domenica (anima e curatrice del progetto), non hanno spento la grinta di Giancarlo Cordoni, barasino doc “prestato” a Lodi Vecchio, oggi alla guida del museo dell’associazione Combattenti e reduci di Sant’Angelo. Un testimone raccolto dalla sorella che l’aveva a sua volta ereditato dal padre, il Cavaliere Domenico Cordoni, classe 1919, scomparso nel 2012, presidente dell’associazione dal 1992 all’anno della morte. «Mio padre, presidente anche dell’associazione nazionale Genieri e trasmettitori dal 1983 al 2012, era una persona lungimirante - racconta Cordoni, ex sindaco di Lodi Vecchio e attualmente presidente del Consorzio servizi alla persona del Lodigiano, seduto a una scrivania stracolma di vecchi libri, cimeli, foto in bianco e nero -. Per tutta la vita raccolse e catalogò reperti e ricordi di commilitoni, reduci, ex militari». Nel 2010 l’intera raccolta fu organizzata in forma di museo e oggi la sede è nel seminterrato dell’asilo nido comunale, in un contesto che lascia decisamente perplesso il visitatore, costretto a entrare passando in rassegna i bidoni della spazzatura: «La necessità di una nuova sede è evidente - conferma Cordoni -. Ho scritto in proposito al commissario prefettizio Mariano Savastano, a breve lo farò con l’attuale sindaco Maurizio Villa». La speranza non è solo quella di trasferire il tutto in locali che non siano mangiati dalla muffa. È, innanzi tutto, quella di dare la giusta dignità alle storie barasine («Tutto il materiale proviene da Sant’Angelo» spiega Cordoni) di cui sono intrisi le gavette, le divise, i copricapo e le lettere mandate dai santangiolini spediti al fronte durante la prima e la seconda guerra mondiale. Perché, al di là del “pezzo forte” rappresentato dalla dedica con autografo del poeta Gabriele D’Annunzio ai bersaglieri ciclisti lodigiani, il vero tesoro qui dentro sono le storie rimaste appiccicate alle carte, ai tessuti e al metallo arrugginito. Storie a tratti imprevedibili come quella che Cordoni sta ricostruendo dai documenti donati dalla famiglia di un ragazzo (negli anni della seconda guerra mondiale) mandato dalla Confederazione fascista dei lavoratori dell’industria in Germania nelle fabbriche dell’alleato: i documenti raccontano quando ebbe le ferie e potè tornare in Italia, dicono quali erano i suoi orari e il suo stipendio dell’epoca. Tutto registrato con la tipica precisione teutonica, tanto che quegli anni furono regolarmente conteggiati ai fini della pensione. Pare incredibile, quindi, che ci sia qualcuno che si sia preso la briga di venire a rubare qui. Eppure è successo due volte, l’anno scorso. I ladri hanno portato via sciabole, baionette, divise da ufficiale. Da poco il museo è stato quindi dotato di antifurto: «Per questo chiedo ai barasini di tornare a donarci le loro memorie - spiega Cordoni -. Ora siamo in grado di custodirle in sicurezza». Il tutto, giova ricordarlo, si basa (anche in questo caso) sulle spalle di volontari come Cordoni. Li citiamo, lo meritano. Sono la vicepresidente Giuseppina Cerri, le consigliere Carla Parmigiani ed Enrica Brunelli; i portabandiera dell’associazione Gennaro Arena, Guido Di Salvo e Orlando Liberti, mentre Marco Danelli è colui che si occupa delle ricerche storiche. Citazione, infine, per Domenico Negri, classe 1928, consigliere, e per il cavaliere Francesco Lombardi, presidente onorario, un orgoglioso “giovanotto” della classe 1917.
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