Un foglio ingiallito che riemerge dal tempo, la memoria sepolta che torna a farsi viva e presente, una persona che tutti credevano dispersa e che invece ha una tomba alla quale rendere omaggio.
È la storia del lodigiano Gianfranco Lupatini, morto nel 1944 in un campo di concentramento a soli 29 anni e sopravvissuto nella memoria della moglie e di tutta la sua famiglia. Delle sue spoglie non si è saputo più nulla fino a pochi giorni fa, quando la figlia Leda e la nipote Margherita Baldrighi hanno ritrovato in un documento la testimonianza che fornisce chiare indicazioni sul luogo della sepoltura.
«Mia nonna si chiamava Teresina, ma per tutti era Zina - dice Margherita Baldrighi - e lei ci teneva che la chiamassero così, perché quello era il diminutivo che usava suo marito Gianfranco». Uno sposo partito per la guerra e che non è più tornato a casa. «La nonna ha sempre conservato gelosamente, come fosse un tesoro - aggiunge la nipote - una valigia di cartapesta in cui conservava quattro anni di corrispondenza dal fronte». Lettere e cartoline che il suo Gianfranco le inviava, piene di tenerezza e di frasi amore.
«Nonna Zina ci ha lasciato nel novembre del 2001 ma solo nel marzo del 2008 mia madre ha trovato la forza di aprire quella valigia - continua Margherita -: dentro abbiamo trovato sottili fogli di carta perfettamente conservati, scritti fitti fitti perché su un solo foglio dovevano starci più frasi possibili. Con pudore e rispetto abbiamo letto quelle paginette, che raccontavano la vita matrimoniale dei miei nonni e contenevano tanti progetti per il futuro». Gianfranco Lupatini morì in un campo di concentramento tedesco, il 4 aprile del 1944, aveva appena compiuto 29 anni. Nonna Zina rimase innamorata di lui per tutta la vita, non si risposò, consacrando la propria vita alle figlie e al ricordo del suo amatissimo marito, che forse riposava in una fossa comune in terra tedesca.
«Dopo avere letto quelle lettere mi sono chiesta tante volte come poteva essere finita la vita di mio nonno, dove fosse sepolto – aggiunge Margherita – ma non mi sono mai messa concretamente a fare delle ricerche». Poi il destino è intervenuto e le domande hanno avuto una risposta. La scorsa primavera la mamma di Margherita decide di arieggiare e sistemare gli armadi di Zina. «Emersero oggetti di ogni tipo e un sacco di vecchi documenti, tra i quali un foglio battuto a macchina, ingiallito ma ancora integro. Iniziai a leggerlo e il respiro si fermò». Si trattava di una lettera dell’aprile 1946, due anni esatti dalla morte di Gianfranco, scritta dal cappellano militare che lo vide morire. In quella missiva il sacerdote raccontava gli ultimi mesi di vita di Gianfranco nel campo di concentramento di Gross Lubars. Scriveva: «Aveva lavorato per mesi nelle fabbriche tedesche, dodici ore giornaliere senza che il lavoratore abbia avuto il necessario sostentamento. Praticamente la morte di tanti italiani si può ben dire è avvenuta per fame. Quando Gianfranco venne in ospedale era quasi disfatto, irriconoscibile. L’ospedale non aveva nessuna attrezzatura, mancavano soprattutto i viveri adeguati ed i medicinali. Si trascinò alla meno peggio con la speranza che gli avvenimenti bellici avessero a terminare presto, onde rientrare in Italia. Alla fine però s’accorse che per lui la vita non aveva più una lunga durata. Non si è lamentato della triste sorte: si è rassegnato. Un solo dolore appariva evidente sul suo viso: non poter più rivedere la sua famiglia lontana. Si è spento serenamente alle 7.45 del 4 aprile 1944».
Margherita decide di andare fino in fondo: «Gross Lubars. Un punto da cui partire per cercare mio nonno, una possibilità di sapere dove fosse sepolto - aggiunge -. Assieme a mio marito feci alcune ricerche su Internet». In un paio d’ore Margherita viene a sapere che il nonno ha avuto una sepoltura d’onore al cimitero militare di Zehlendorf, a Berlino. Il sito ufficiale del ministero della Difesa conferma le informazioni raccolte. La speranza diventa certezza e così la figlia primogenita Piera con il marito e i nipoti Margherita ed Arturo raggiungono Berlino.
Il 18 settembre Margherita si trova in un maestoso cimitero militare dove riposano 1.179 soldati italiani, tra i quali il nonno che credeva disperso: «Mille emozioni attraversarono il mio cuore - conclude -, ero felice di averlo trovato, di potergli portare quei fiori freschi che nonna Zina ha messo per anni ogni settimana davanti alla foto in camera da letto, ero finalmente davanti a quell’uomo che non ho mai conosciuto ma che, nella mia vita, ho sempre sentito presente. Spero che questa mia storia a lieto fine possa servire anche ad altre famiglie di dispersi, che possano avere l’opportunità di ritrovare la tomba dei propri casi scomparsi: non è così difficile, oggi la tecnologia offre enormi opportunità».
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