«Volevamo informatizzare i Comuni con

“Lodigiano digitale”, ma tutto si è fermato»

«La rivoluzione digitale è più facile farla in un aggregato come la Città metropolitana. Nell’area vasta sarebbe molto più difficile».

Fabrizio Toninelli - fondatore e amministratore di P.A. Digitale, cofondatore nel ‘79 della Zucchetti - è soprattutto dal punto di vista imprenditoriale che inquadra il tema del futuro del territorio. Lo fa in una prospettiva che tiene nella dovuta considerazione i contenuti di una delle riforme più delicate, quella della pubblica amministrazione. E che si focalizza sul faticoso percorso della digitalizzazione dei procedimenti e dei servizi.

Il progetto dell’Italia digitale potrebbe essere la nostra bussola?

«Non è facile rispondere in modo razionale alla domanda sul futuro del territorio. C’è ancora molta incertezza sul quadro normativo, ancora non sappiamo quale sarà il ruolo esatto della Città metropolitana, né come saranno strutturate le aree vaste. Noi lavoriamo con gli enti pubblici e questa incertezza la constatiamo ogni giorno. Dire oggi se in termini generali sia meglio Milano o Crema è difficile. Ritengo però che il processo di modernizzazione della pubblica amministrazione debba essere considerato come elemento di valutazione».

Approfondiamo…

«Unire in modo digitale le amministrazioni pubbliche di un ampio territorio vorrebbe dire non avere limiti sulla raccolta di informazioni e accelerare i tempi di trasmissione di queste informazioni. In altre parole vorrebbe dire risparmio economico e maggiore efficienza. Obiettivi più facilmente raggiungibili in un’organizzazione come la Città metropolitana, piuttosto che con il Cremasco o il Mantovano che corrono il rischio di peccare di strutture tecnologiche, strade informatiche e di un’adeguata rete digitale nel suo complesso. Nella Città metropolitana ci sarebbe il sostegno dell’Europa ai progetti dedicati allo sviluppo della tecnologia digitale, nell’area vasta non si sa».

Si riferisce al Programma operativo nazionale Città metropolitane 2014-2020 approvato lo scorso luglio dalla Commissione europea e che prevede fondi per circa un miliardo di euro?

«Sì, parte di quei fondi sono destinati allo sviluppo dei servizi digitali».

Nel Lodigiano, dal vostro punto di vista, com’è stata finora gestita la fase di modernizzazione dei servizi della pubblica amministrazione?

«Molto male. Noi nel 2011 in partnership con la Provincia avevamo messo a punto un progetto denominato “Lodigiano digitale” nato dalla volontà di condurre un processo d’informatizzazione in tutti i comuni del territorio, e dunque di costituire una rete unica delle pubbliche amministrazioni».

Quali erano gli obiettivi specifici del progetto?

«Erano creare una maggiore efficienza negli uffici comunali, migliorare le entrate con una gestione puntuale e attenta della fiscalità del territorio, ridurre sensibilmente i costi di gestione legati all’informatica, facilitare gli operatori nell’uso delle nuove tecnologie necessarie per adeguare il comune alle nuove disposizioni di legge come l’utilizzo della posta elettronica certificata, la dematerializzazione dei documenti e dei processi, i servizi al cittadino via web. Un progetto che nelle intenzioni avrebbe anche potuto facilitare l’unione dei comuni più piccoli e l’esecuzione di funzioni in forma associata tra più comuni…».

Ebbene?

«Il risultato è stato molto deludente, il Lodigiano non ha approfittato dell’occasione. Eppure si era preventivato per l’intero territorio un risparmio di circa un milione di euro l’anno soltanto sui costi del software».

Perché il progetto non è decollato?

«Perché c’è resistenza al cambiamento. I sindaci oggi ci sono e domani no, danno l’indirizzo amministrativo ma la macchina comunale va avanti coi funzionari. Al sud i sindaci hanno un ruolo più forte, agiscono con maggiore incisività sulla gestione del comune, qui si affidano molto ai loro uffici. Nelle aziende non è così, se un amministratore decide che è il momento di cambiare, si cambia. Nella pubblica amministrazione non c’è invece un elemento scardinante».

Qualche amministrazione però si è ricreduta. Qualcosa si sta muovendo anche da noi, o no?

«Tardivamente e in ordine sparso. Sappiamo che alcuni comuni si sono rivolti a nostri competitor dell’Emilia Romagna. E così i soldi di quelle amministrazioni sono andati ad aziende di altri territori. In altre province lombarde abbiamo invece trovato una maggiore apertura ai progetti di sviluppo digitale. Con quella di Brescia abbiamo in corso un progetto che riguarda una quarantina di comuni, ed anche in quella di Lecco stiamo lavorando molto».

Quanti dipendenti avete?

«Circa 130. Di questi 80 sono a Lodi, gli altri nelle sedi di Arezzo, Napoli e Roma».

Avete fatto assunzioni con il Jobs act?

«Sì, sei o sette. Tutte nuove, gli altri nostri dipendenti erano già stabili».

Qual è il vostro giro d’affari?

«Nel 2014 abbiamo fatturato oltre sette milioni di euro. Per quest’anno prevediamo un incremento intorno al dieci per cento. Siamo l’unica software house in Italia che eroga via Internet servizi applicativi che permettono ai comuni di gestire dalla a alla z processi amministrativi e servizi ai cittadini. Lavoriamo su tutto il territorio nazionale. A Roma seguiamo diverse pubbliche amministrazioni. E tra le nostre referenze ci sono casi di eccellenza».

Quali?

«Il Quirinale, l’Istat, l’Anac, l’Agcom, il Csm, l’Autorità per l’energia elettrica e il gas, il Fondo di previdenza per il personale del Ministero dell’economia e delle finanze. Continuo?».

Prego…

«L’Arpa, la Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Milano, l’Accademia della Crusca…».

Per curiosità, al Quirinale quali servizi offrite?

«Quello sulla contabilità finanziaria e, nell’ambito del cosiddetto ciclo passivo, il processo di gestione della fattura elettronica che permette il transito delle informazioni nei vari uffici in modo totalmente elettronico. In questo modo il ciclo temporale della fattura è stato ridotto da quaranta a tre-quattro giorni».

Torniamo al futuro del territorio. Come giudica il ruolo dell’Assemblea del Lodigiano? Tra le volontà della politica e le aspirazioni degli imprenditori, anche la voce dei cittadini dovrà avere un peso…

«Sì, anche se però la visione che il cittadino medio ha di questi temi è troppo lontana dalle dinamiche amministrative e imprenditoriali. C’è il rischio di valutazioni di pancia. Lo sa il cittadino cos’è l’Agenda digitale europea per il 2020? Lo sa il cittadino che non basta puntare al solo sviluppo della banda larga perché sarebbe come costruire un’autostrada le cui corsie resterebbero vuote? Un problema italiano è l’assenza di una cultura che permetta di capire ciò che si potrebbe davvero fare nel campo della modernizzazione dei servizi a vantaggio dell’intera comunità».

Forse manca un’informazione adeguata…

«Però il governo si sta dando molto da fare. La fatturazione elettronica è già realtà e l’impegno per lo sviluppo dell’agenda digitale è concreto».

Digitale a parte, come giudica l’operato del governo Renzi?

«Positivamente. Il governo sta facendo molto, anche se i frutti di alcuni provvedimenti devono ancora maturare. Dopo le tante chiacchiere del passato, questa volta si sta facendo sul serio. L’unico errore che si potrebbe fare è star fermi».

Una proposta che sta raccogliendo molte adesioni è quella di Mauro Sangalli: il protocollo istituzionale per favorire l’insediamento di nuove attività produttive sul territorio. Difficile per un imprenditore non essere d’accordo sulla necessità di abbattere la burocrazia…

«Sarebbe una bellissima cosa. Abbattere gli ostacoli burocratici è necessario per lo sviluppo dell’impresa. Bisogna intervenire all’interno della pubblica amministrazione, accelerarne il processo di cambiamento. Le regole per farlo ci sono, ci vuole la volontà di vincere le resistenze e di attuarle. Però sul fronte della digitalizzazione anche l’impresa deve evolversi. Ora, non avendo specifici obblighi di legge, è culturalmente molto più indietro rispetto alla pubblica amministrazione. Se le aziende non si muovono, tra un paio di anni si finirà per parlare due lingue diverse: la pubblica amministrazione il cinese e le imprese il dialetto lodigiano».

Un altro tema di discussione riguarda la composizione della delegazione lodigiana che dovrà avviare e portare avanti le trattative con la Città metropolitana. C’è chi vorrebbe che ai sindaci si unissero anche gli imprenditori…

«Gli imprenditori dovrebbero essere i primi. Possiamo migliorare tutto quello che vogliamo, ma come si possono garantire i servizi ai cittadini se c’è disoccupazione? È assolutamente indispensabile la presenza degli imprenditori, direi di tutte le facce dell’imprenditoria, da quella piccola a quella medio- grande».

Lei accetterebbe di far parte della delegazione?

«Compatibilmente agli impegni di lavoro sì. Potrebbe essere un’esperienza interessante».

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