Diciotto febbraio duemilatredici, nel cuore del pomeriggio; occhieggiano i baluginii del sole, come anticipo della primavera. C’è una luce splendida, verrebbe da percorrere a piedi lo smisurato argine che costeggia i due portentosi corsi d’acqua della Bassa: questa è terra di confluenze e di incroci, di porti fantasma e traghettatori di un tempo che fu, di pescatori e contadini, di malinconie e nuovi slanci. Dicono che arriverà ancora la neve, e che il freddo attanaglierà ancora le zolle di terra. Per ora mi godo questo tenue calore, così rapido che, neppure il tempo di pochi passi, le avvisaglie del tramonto si disegnano all’orizzonte. È stato il mio amico Giordano a suggerirmi di venire qui: e sento di essergli grato per questo. Sono in compagnia di Massimo Villa, discendente del più noto ceppo dei Lucchini, agricoltore della cascina Brevia.
un’antica frazione
A Castelnuovo Bocca d’Adda questa, una volta, era una frazione: vi vivevano una settantina di persone. La corte aveva la denominazione “Brevia” perché per raggiungere le sponde cremonesi la via più breve era proprio qui: quasi attiguo vi era un piccolo porto, e con la barca si salpava per l’altra parte. I fiumi Adda e Po incrociano, pochi metri più in là, le proprie acque. Per questo Castelnuovo è stata sempre terra di mescolanze: si è nello stesso tempo, soprattutto nel dialetto, lodigiani, cremonesi, piacentini. Questa è meta turistica per tanta gente: la pesca sembra ridondante di messi, e vengono dal Veneto, dalla Toscana, dalle Marche.
L’argine, lungo quasi tra chilometri, è un percorso di imponente struttura, e fu costruito agli inizi degli anni Cinquanta del secolo scorso; sostituiva l’“arginello”, che era stato innalzato dopo la storica alluvione del 1917; prima ancora vi era soltanto una stradina campestre, che attraversava boschi e zone paludose. Pare che il percorso sia però rimasto lo stesso, quello che conduce ancora oggi al ponte di Crotta, già nel Cremonese.
il capostipite
La famiglia Lucchini abita a Castelnuovo da secoli. È stato un giovane storico e archivista del territorio, il dottor Gianantonio Pisati, a scoprire durante una ricerca, che il capostipite dei Lucchini pare risiedesse in paese dal 1732 e che qui conducesse un piccolo appezzamento di terra, affittuario del conte Stanga, la cui famiglia vantava per disposizione dell’imperatore Massimiliano il titolo nobiliare sin dal 1496, confermato poi dall’imperatore Francesco II nel 1816. Qualcosa di più si sa su Giuseppe Lucchini che, messo da parte qualche quattrino, cominciò anche ad acquistare alcuni terreni; quindi fu chiamato a servire la patria: allora, il servizio di leva durava alcuni anni e ciò era un vero problema per chi doveva abbandonare casa e lavoro; lo Stato austriaco concedeva però l’esonero dal servizio, a condizione di incamerare alcuni beni: agli agricoltori veniva chiesto di alienare parte della loro terra. Giuseppe era ad un bivio: poteva cedere quello che aveva messo faticosamente da parte, o arruolarsi e cercare di fare salva la pelle. Fece il proprio dovere, si arruolò, mancò da Castelnuovo a lungo, e quando riuscì a tornare riprese la sua vita di agricoltore come se fosse mancato solo dal giorno prima.
Nel 1833 Giuseppe Lucchini, d’intesa con i propri fratelli, aveva posto la prima pietra della casa padronale di quella che sarebbe divenuta, nel volgere di poco tempo, la cascina Brevia; soltanto cinquant’anni dopo la corte sarebbe stata completata, con l’innalzamento di un ultimo fabbricato rurale. Tuttavia, ancora per numerosi anni, i Lucchini preferirono abitare in paese, nella atavica dimora di via Verdi. Alla frazione Brevia andavano solo per curare la terra, anche ogni giorno, ma alla sera si tornava in casa, in paese.
nel groviglio di arbusti
Il primo che si stabilì nel cuore della foresta, perché all’epoca qui era un persistente groviglio di arbusti, fu Luigi Lucchini, uno dei nove figli di Giuseppe. La cascina Brevia però non fu condotta esclusivamente da lui, in quanto la famiglia Lucchini era unitissima e ciascuno dei componenti aveva pieno titolo a dire la propria. Non solo i fratelli, ma anche i cugini venivano interpellati. Non c’erano invidie e gelosie, ma un’unione che aveva qualcosa di veramente speciale.
Tutti i Lucchini erano conosciuti per il loro morigerato modo di vivere, basato su tre fondamentali pilastri: famiglia, lavoro, e fede. Erano, infatti, religiosissimi: tanto che diedero alla Chiesa tre suore ed un prete, e quest’ultimo è l’attuale parroco di Cerro al Lambro, don Umberto Lucchini. Semmai Luigi Lucchini ebbe, sugli altri fratelli, una particolarità: fu quello che visse più a lungo, arrivando alla veneranda età di 92 anni, un record per quei tempi, e morendo nel sonno quando poteva ancora dirsi che godeva di buona salute. Rimase sulla breccia sino a pochi giorni prima di andarsene.
Luigi Lucchini era un uomo alto e magro, ma ben nerboruto, aveva una forza invidiabile; era anche molto buono d’animo, e c’era qualcosa che più di ogni altro lo scioglieva letteralmente: i bambini. Per i suoi nipotini stravedeva. Dopo un’intera giornata trascorsa nei campi o nella stalla, quando tornava a casa e trovava i pargoletti ancora svegli, era capace di mettersi ginocchio e giocare con loro sino a che, esausti dal divertimento, i bambini chiedevano di andare a nanna. Luigi Lucchini era sposato con Antonia Venturini di Roggione, frazione di Pizzighettone, una donna forte quanto il marito, e non solo in quanto a resistenza: relativamente all’azienda agricola, le piaceva dire la propria, talvolta imponendo al consorte la propria visione delle cose.
In quegli anni i Lucchini divennero un riferimento per le tante famiglie del circondario: senza essere ricchi, avevano un’ottima solidità economica, e per questo aiutavano i bisognosi; la signora Antonia, per i matrimoni, cedeva volentieri e gratuitamente, il salone della propria casa. C’era un clima di solidarietà: ci si aiutava tutti nelle piccole incombenze della vita quotidiana.
tre fratelli agricoltori
Luigi ed Antonia avevano avuto cinque figli, ma un paio se li era portati via la varicella. Erano rimasti in tre: Francesco, nato nel 1908, Maria, di due anni più giovane, ed infine Giacomo. Tutt’e tre i fratelli avevano proseguito l’impegno agricolo: in quegli anni l’azienda, oltre alla terra, vantava una stalla con tori per la produzione di carni. Anche Maria era molto attiva, perché il lato femminile del Lucchini, ancora oggi, ha sempre rivelato caratteristiche indomite.
Certo Francesco Lucchini, in virtù dell’essere il primogenito, seppe ritagliarsi un ruolo di rilievo. Egli aveva una caratteristica in particolare: era appassionato di cavalli; a quei tempi in cascina gli animali da tiro erano i buoi bianchi e gli asinelli. Ma durante il servizio di leva, Francesco Lucchini aveva preso dimestichezza con i cavalli, ed era riuscito a governarne una pariglia di una mezza dozzina, quando da Parma, dove prestava servizio, s’era dovuto recare al porto di Genova trasportandovi tronchi di legna, richiesti con la massima ed indifferibile urgenza dal distretto militare.
Così, rientrato in cascina, aveva licenziato i somari, ed acquistato i cavalli. Li rispettava talmente, che aveva cercato di rinviare l’acquisto del trattore, e quando presero a criticarlo perché non più al passo con i tempi, prese il macchinario ma per chiuderlo in rimessa e proseguire così il lavoro con i cavalli. Anch’egli aveva la caratteristica classica dei Lucchini: era un uomo fortissimo, che non aveva paura di nulla, ma che sapeva essere pure affettuoso ed espansivo con i propri amici. Il signor Francesco aveva sposato Ester Lucchini, cugina in terzo grado. Anche i famigliari di lei erano agricoltori: producevano frutta e miele, che poi vendevano, e commerciavano stoffe, ricavate con la seta, visto che come era d’uso in questa zona a quei tempi avevano un allevamento di bachi.
Pur se parenti, i due avevano avuto modo di frequentarsi solo da ragazzi già cresciuti, approfittando dei balli che nelle domeniche pomeriggio, o nelle sere d’estate, si organizzavano sulle aie delle cascine.
un’“anima” femminile
Francesco ed Ester ebbero un’unica figlia: Maria Antonia. La signora è ancora oggi l’anima dell’azienda agricola. Non ha mai pensato di fare un altro lavoro, coinvolta dallo spirito positivo dei famigliari; su una vetrinetta del soggiorno sono esposte in bella mostra alcune coppe, cimeli ottenuti in occasione di competizioni con il trattore, alla cui guida, vi era lei. Le altre coppe le ha vinte il marito, Gianni Villa, originario di Castelvetro Piacentino, che è stato un ciclista di buon pedale, anche a livello regionale. Gianni Villa, classe ‘47, non è agricoltore. Egli discende da una famiglia di artigiani, esperti nella riparazione dei motori. La sua officina, di riparazione e vendita di bici e motocicli, è da infinite generazioni a Castelvetro Piacentino, e la cascina Brevia per lui rappresenta soltanto una sorta di buon ritiro, dove trovare riposo dal maneggiare pedali, freni, valvole e marmitte. Si sono invece affiancati a mamma Maria Antonia i suoi due figli: Massimo, nato nel 1976, testimone di questa odierna storia, e Luigi, che è del 1982. Entrambi sono agricoltori di razza: il primo ha studiato agraria, mentre Luigi si è laureato in geologia, all’Università di Parma, ma poi ha scelto di rimanere nell’azienda di famiglia.
Oggi l’attività è rivolta esclusivamente alla conduzione dei terreni, destinati a monocoltura, a rotazione mais e granturco. L’anno scorso è stata fatta la scelta del fotovoltaico, e alcuni pannelli sono stati posti sul tetto di un fabbricato rurale.
Fuori dalla casa padronale, le prime ombre della sera lasciano un’impronta scura sui vetri. Massimo Villa mi racconta della natura che presto si trasformerà: i virgulti delle robinie diverranno grappoli in fiore, gelsi e sambuchi splenderanno di scintillanti colori, e i salici espanderanno i loro rami a cascata. Si deve solo attendere il mese di maggio, quando l’inverno sarà solo un ricordo, e i baluginii del sole non più cosi rapidi da dissolversi nello spazio di un repentino stupore.
© RIPRODUZIONE RISERVATA