Rubriche/Cascine
Domenica 10 Giugno 2012
Casa Savi, lì dove galoppano i cavalli
L’allevamento di Galgagnano “sfida” di una famiglia coraggiosa
Luoghi così sono incantevoli, suggestivi, e persino ricchi di umanità. Mi trovo presso uno straordinario allevamento di cavalli alla cascina Bellaria, alle porte di Galgagnano, e sono ospite di un nuovo amico, Luigi Savi, un piacentino dal cuore largo ed i modi simpaticamente contradditori: ama il silenzio, ma quando incontra gente è solito attaccare subito il bottone all’asola; ed è allora che rivela tutte le sue qualità: di affabulatore, di epico cantastorie di eventi di varia umanità, di allevatore e domatore di cavalli, rivelando per questi animali tratti di sensibilità e tenerezza che, sempre in precisa contraddizione, stridono con la sua mole fisica, di uomo ben piazzato e corpulento.
Un colpo di fulmine I Savi si sono innamorati del Lodigiano tredici anni fa: cercavano una piccola struttura di campagna, dove poter ricoverare i loro tre cavalli, tenuti a quel tempo per una passione esclusivamente personale. Quando videro la cascina Bellaria ebbero un sussulto: l’immagine di quel luogo si radicò immediatamente nel cuore. Luigi Savi, prima di essere allevatore, è anche un imprenditore: a San Giuliano Milanese ha un’azienda, che conduce insieme ad un fratello, specializzata in flaconi, tappi e chiusure per profumi che vengono esportati in tutto il mondo. Insomma, nel tempo qualche soldino da parte era stato messo. Ed allora Luigi Savi prese calcolatrice e fogli e cominciò a fare di calcolo; strinse cinghia, cordoni, borsa ed arrivò all’acquisto della cascina. Con la moglie Marisa, la figlia Nicoletta e il genero, dopo qualche tempo ne fece una splendida azienda agricola, rivolta all’allevamento dei cavalli.Il luogo è davvero incantevole: occorrerebbe pagare un biglietto d’ingresso per accedervi, qualunque sia il prezzo ne varrebbe la pena, perché in un verde lussureggiante, con ontani e salici a larghissime distese, con i laghetti dell’Adda che si estendono appartati in più angoli della campagna, la natura è selvaggia, incontaminata, autentica. Ma Luigi è un piacentino tanto largo di bocca quanto di mano: distribuirebbe gratis i biglietti d’ingresso, e farebbe da guida in un percorso suggestivo e raro. È incredibile quanto i lodigiani conoscano poco certe zone del territorio e la gente che vi abita. I cavalli poi sono stupendi: per i bambini sarebbe un’esperienza straordinaria vedere al galoppo, dentro recinti grandi quanto piazze d’armi, i puledrini a fianco alle loro mamme. Sono immagini bellissime che hanno catturato il mio cuore.
Una terra di ritorno Il Lodigiano per Luigi Savi è stata terra non di approdo, ma di ritorno. Suo padre Renzo era già stato qui, in quanto provetto casaro, e i caseifici della nostra Bassa se lo contendevano: Luigi era bambino quando arrivò alla Biraga di Terranova dei Passerini e, come tutti gli infanti, orgogliosissimo delle proprie radici; ma gli altri bambini della cascina vivevano con lui una rivalità di campanile ad altissima tensione: e, tra loro, erano botte da orbi, lodigiani contro piacentini, autoctoni contro forestieri. Eppure quel Lodigiano a Luigi rimase nel cuore. Suo padre, Renzo Savi, era un contadino con buone doti anche di tecnico specializzato nell’arte casearia: proveniva da una famiglia numerosa e poverissima. Casaro lo era divenuto quasi per scelta, essendo stato cresciuto da un fratellastro, a sua volta casaro. E da lui aveva appreso i rudimenti e i segreti del mestiere. Nella sua vita mantenne un fortissimo sentimento di riconoscenza non solo verso il fratellastro, ma pure nei confronti di una cavallina: quando era ragazzino, infatti, faceva il “latè” andando a raccogliere a bordo di un carretto, durante la notte, i bidoni nelle vicine cascine del Piacentino. Sino a quando si trattava di ritirarli rimaneva sveglio, ma sulla strada del ritorno si addormentava pesantemente: e la cavallina, memore delle strade da percorrere, lo riportava a casa. Poi la cavallina si ammalò e Renzo chiese al padrone di poterla sostituire: la rimpianse per tutta la vita. Ora Luigi quasi si commuove nel ricordare questo episodio: perché nei racconti del padre, che anche da vecchio continuava a raccontargli di questa cavallina e dei propri rimpianti, vede come un filo che unisce quelle memorie all’allevamento di oggi.Renzo Savi era pure stato chiamato in America, nel Wisconsin, terra di grandi laghi, poco sotto il Canada. La storia statunitense dei Savi era partita da grandi premesse per arrivare a generali ripensamenti. Andò così: un piacentino, in combutta d’affari con un italoamericano, s’era convinto che la produzione del grana potesse essere negli Usa un autentico business. Ma per realizzarlo occorreva avere il miglior casaro: e per questo aveva chiamato il signor Renzo. Lui però aveva immediatamente compreso che una grande quantità di latte non era di per sé sufficiente per ottenere anche grana di qualità, ma al contrario occorrevano metodi, lavorazioni, cure, che mal si conciliavano con l’esigenza del business immediato. Fu così che, infastidito, prese cappello e se ne tornò ai lidi padri.
Fiuto per gli affari Il figlio Luigi - nato dal matrimonio di Renzo con Edda - pensò di intraprendere un mestiere distante dall’agricoltura: già dai tempi della scuola aveva le idee ben chiare, e su un tema aveva scritto che avrebbe girato il mondo a realizzare affari. Riuscì in quelle promesse passando attraverso varie esperienze professionali.Nel 1987 vi fu l’incontro con Marisa, che gi diede ciò che sino a quel momento gli era mancato: una sicurezza che non fosse solo il frutto di una spavalderia di facciata, ma la radice di una forza, di una consapevolezza, di una serenità d’animo in fondo mai conosciuta prima. E scoprì di avere con la figlia Nicoletta le stesse sensibilità: l’amore per la natura e, sopratutto, quello per gli animali.Quanto fosse bello montare un cavallo, a Luigi e Nicoletta glielo spiegò casualmente Gino Origgi, uno dei maggiori allevatori di cavalli da endurance. E fu amore a prima vista. Nicoletta è una ragazza coriacea e coerente, con una precisa caratteristica di fondo: se vede un uccellino ferito non si dà pace sinchè non gli salva la vita. Ogni altro interesse è secondario, per lei, rispetto a quello per la cura degli animali. Tanto che, pur essendo una brava studentessa, dopo due anni di università, preferì lasciare gli studi e dedicarsi ad un maneggio: la prima esperienza significativa la intraprese a Merlino. Poi nel 1999 il trasferimento alla cascina Bellaria.Fondamentale nella gestione dell’allevamento è la presenza di Angelo Regazzetti, originario di Paullo, marito di Nicoletta: aveva le doti di cavaliere senza sapere di possederle. Nel giro di pochi anni, quando nella generalità dei casi occorre un tempo maggiore, è diventato un cavaliere ai più alti livelli nel salto ostacoli.
Una grande sfida Questo gruppo famigliare ha lanciato la grande sfida: nel gennaio 2001 sono state ingravidate le prime tre fattrici. E dai relativi tre puledrini si è sviluppato l’allevamento. I puledri restano in cascina fin quando un acquirente non proponga un’offerta; l’ideale è portare i cavalli ai tre anni d’età, quando sono domati e preparati per l’attività agonistica, nella specializzazione del salto ad ostacoli. Il discorso si prolunga su aspetti tecnici, ma a me rapisce la bellezza di questi animali: hanno manto lucidissimo, occhi espressivi, un’eleganza nella corsa che mozza il fiato per lo stupore. Alcuni di loro mi ricordano Spirit, il cavallo della bellissima pellicola d’animazione, che tanto aveva coinvolto mia figlia quando era piccina. Qui i cavalli hanno tutti nomi speciali, mai scelti a caso e legati alle vicende delle loro nascite o a quelle della famiglia Savi, o ancorati ad avvenimenti davvero speciali.I cavalli insegnano a guardare al futuro: nell’allevamento della cascina Bellaria, quando nasce uno di loro si proiettano previsioni e prospettive. Per ogni animale c’è un nuovo orizzonte da scoprire, ma sarà la doma definitiva a chiarire le loro potenzialità. Poi, certe volte, si colgono segnali improvvisi. I figli di Nicoletta ed Angelo, per esempio, sono i classici ragazzini contemporanei: Lorenzo detto Lollo è portato per gli studi e gioca ad hockey nelle giovanili dell’Amatori, Nicolò detto Teddino è appassionato di nuoto ed ama la natura, Federico ha l’indole del versatile. Però nessuno che rivelasse passione per i cavalli: è sempre così quando si hanno le cose sotto al naso.
Cavalieri del futuro Ma improvvisamente uno dei tre pargoli, Federico, chiede al padre di imparare a montare. Prova. Gli piace. Partecipa a qualche gara e si piazza bene. Un giorno papà Regazzetti e nonno Savi lo portano in Umbria, per un circuito C115, una gara difficile, non c’è alcuna pretesa, se non fare ammirare al pubblico la morfologia del cavallo: il ragazzino sbaraglia i concorrenti e occupa il primo posto del podio, staccando di ben 10 secondi il secondo piazzato. Federico, che ha 11 anni, tocca il cielo con un dito. L’indomani è atteso ad una seconda prova: nonno Luigi fa quello che gli riesce bene, e cioè il vecchio saggio: lo disillude, spiegandogli che ogni gara è una storia a sè, che ripetersi è difficile; quasi in cuor suo si augura una batosta, di quelle che fanno crescere, ma ovviamente si guarda bene dal dirlo al ragazzo.Le cose vanno che devono andare: davanti ad un ostacolo il cavallo s’impunta, s’indispettisce, butta giù Federico. Il cavaliere ha le lacrime agli occhi: teme che il pubblico passa considerare la vittoria del giorno prima solo come una circostanza occasionale. Questo è quello che gli rode maggiormente. Si divorerebbe la notte in un sol boccone, per ritornare l’indomani in gara. Riprende a gareggiare, si conferma allievo di razza, finalmente può tornare a gioire. È nel desiderio di rivincita che rivela tutto il proprio temperamento di cavaliere e di sportivo. La tecnica non potrà che migliorare.Nonno Luigi Savi queste cose le sa. E gongola soddisfatto. Una birra buona?, mi dice. Anzi, mi impone. Si fa sera. La cascina Bellaria diventa ancora più bella. C’è il lungo nitrire dei cavalli, con le fronde dei salici appena mosse dal vento.
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