Rubriche/Cascine
Domenica 23 Dicembre 2012
L’agricoltore con la musica nel sangue
A Castelnuovo l’eredità del “trombettiere” Giovanni Lucchini
Mancano i marubini in tavola, cioè i ravioli in brodo della tradizione di casa Lucchini, ma è come se ci fossero, tanto nelle parole tra me e il signor Giordano si sta svolgendo l’atmosfera del Natale. Ci si ritrova in piena sintonia - due uomini, che non si sono mai incontrati prima d’oggi - su alcuni approdi fondamentali della vita: l’onestà, le radici, i valori ricevuti, le cose semplici, essenziali. Fuori la sera di Castelnuovo Bocca d’Adda riluce, luminosissima, nel biancore della neve. So che le lucine del presepe, amorevolmente posto sul quello che fu l’antico pozzo delle corte, brillano ad intermittenza.
Il pozzo dei ricordiGiordano mi mette a parte di tantissimi suoi ricordi; la domenica era il solo giorno della settimana in cui a casa Lucchini si mangiava la carne; sua mamma Bruna poneva al centro della tavola un piatto di bollito: il piccolo Giordano e suo fratello Pierangelo intingevano il pane nell’intingolo del brodo, poi sbocconcellavano i pezzetti di carne, e sul finire della pietanza la signora Bruna ammoniva di lasciare qualcosa per il loro padre, che doveva ancora tornare a casa. Al sciur Giovanni Lucchini la domenica piaceva così: fare mangiare prima i ragazzi, e sedersi al desco quando loro s’erano ben saziati. Gli piaceva osservare la sua famiglia e prendersi del tempo, serenamente, per il suo pranzo.Aveva avuto un’esistenza ricchissima di eventi il sciur Giovanni, e certi periodi erano stati con lui ingiusti e graffianti, quasi a volerlo irridere. Non s’era mai perso d’animo. E aveva avuto la forza, il coraggio, l’intelligenza di riprendere il filo dei propri giorni, di costruirsi una splendida famiglia, e di dare ai propri figli tanto amore ed importanti lezioni di vita.Giovanni Lucchini era nato il 23 marzo 1913, orfano di padre. Quest’ultimo non aveva ancora trent’anni: a provocarne la morte era stato un cavallo, che lo aveva scalciato mentre lui lavorava nei campi; la ferita era apparsa immediatamente grave, ma s’era sperato che ugualmente potesse salvarsi: le illusioni restarono tali perché dopo qualche giorno l’infortunio si rivelò mortale.La vedova, Rachele Venturini, si trovò così a crescere quattro figli: Guido, classe 1907; Ernestino nato nel 1908; Maria, del 1909; e appunto Giovanni, che aveva preso l’identico nome del padre defunto.Mamma Rachele risentì molto della sciagura, tanto che, immediatamente dopo la gravidanza e la nascita del quartogenito, si accorse di non avere neanche una goccia di latte per nutrire l’infante; Giovanni fu allattato da una balia, Orsolina. Anche lei aveva avuto un figlio nello stesso periodo, e Giovanni per tutta la vita fu affettivamente legato a quel suo coetaneo, che considerava appunto un vero fratello, non solo di latte. In quegli anni a Castelnuovo vi era un vero e proprio esercito di balie: le donne esprimevano così un vero e profondo senso di solidarietà tra loro. Mamma Rachele, pur provata da tanto dolore, non disarmò; volle che i suoi ragazzi crescessero con le tradizioni della famiglia Lucchini, che erano saldamente ancorate all’agricoltura.
Una curiosa scumagnaIl capostipite che memoria oggi ricordi si chiamava Giuseppe Lucchini, uomo dei primi dell’Ottocento; era stato lui a dare la scumagna ai suoi discendenti, che si radicò pure nella denominazione della corte e dell’azienda agricola. I Lucchini, infatti, erano anche noti come “Saralös”: che sta a significare, serra l’uscio, chiudi la porta! Sembra infatti che il vecchio patriarca Giuseppe fosse un uomo molto freddoloso e cagionevole di salute: per tutte le bronchiti e le polmoniti di cui soffriva dava la responsabilità ai colpi d’aria, per cui, ad ogni persona che lo andava a trovare in casa, lui intimava «Sara l’ös!», proprio per non prendere freddo.I Lucchini erano validi agricoltori. La vedova Rachele aveva anche investito sulla terra, acquistandone cinque ettari: ma questo un momento prima che il governo di Mussolini, con l’operazione della “quota 90”, rivalutasse la lira per raggiungere il valore della sterlina, causando così l’insostenibilità dei debiti; la signora Rachele dovette di tutta corsa vendere quei suoi pochi ettari di proprietà, ridimensionando tutti i suoi progetti.Quel durissimo colpo pietrificò tutta la famiglia, tanto che Giovanni crebbe sempre con la paura di contrarre debiti e non voleva mai acquistare nulla per paura di rovinarsi con le banche.
Nella bufera del conflittoI fratelli Guido e Giovanni Lucchini proseguirono quindi l’impegno agricolo con estrema prudenza. Guido era sposato con Natalina Bernocchi, da cui aveva avuto quattro figli, un maschio e tre femmine. Era un amante del canto, con una bellissima voce da tenore: cantava indifferentemente in chiesa, come in osteria. Prese, da anziano, una personale scumagna: era denominato “Governo”. Ciò era dovuto al fatto che quando qualcuno aveva bisogno di soldi gli si consigliava di andare da Guido, che in quanto a disponibilità finanziarie era come un “Governo”. Ma questa fama era forse un tantino esagerata. L’impegno agricolo di Giovanni Lucchini, invece, e probabilmente i suoi stessi destini, furono distolti dal servizio militare e poi dalla guerra. Aveva infatti svolto il biennio dell’obbligo di leva in quel di Piacenza, quando fu chiamato per andare al fronte. Nulla gli fu risparmiato. Riuscì solo ad evitare la guerra d’Africa, malgrado fosse già sulla nave che stava partendo per la Libia: poco prima che l’imbarcazione salpasse, si presentò un generale per passare in rassegna le truppe; fu dato ordine di individuare un trombettiere, che salutasse l’arrivo e la ripartenza dell’importante ufficiale. Giovanni Lucchini aveva l’incarico di trombettiere e fu catapultato sulla banchina pronto a suonare il taratàtàtà dello strumento: così, nel mentre che il generale saliva sulla corazzata, e poi ne ridiscendeva, nel marasma della confusione, Giovanni Lucchini non riuscì a risalire sull’imbarcazione già in fase di movimento.Gli capitò di essere fatto più volte prigioniero: in Polonia, in Albania, in Grecia, in Germania. Ebbe in talune circostanze la certezza che sarebbe morto. Una volta, mentre faceva rientro al proprio campo di concentramento, dopo una giornata di lavoro trascorsa in una fabbrica, vide sul ciglio della strada una bellissima patata, e poiché era affamato, si sfilò dal gruppo di prigionieri, e raccolse il rotondeggiante tubero: il furtivo movimento fu colto da un militare tedesco, che cominciò a strattonarlo, ad urlargli insulti incomprensibili, a conficcargli sotto il mento la gelida canna del mitragliatore. Anche durante il bombardamento aereo di Berlino credette che non se la sarebbe cavata: gli aerei Eight Air Force statunitensi bombardavano senza sosta, distruggendo tutto perché, come spiegarono ai prigionieri nuovi alleati, nella guerra per combattere il nemico non si deve guardare all’amico!Giovanni Lucchini fu decorato dal Presidente della Repubblica con una medaglia d’oro al valore, dedicata ai cittadini italiani deportati ed internati nei campi nazisti.
Per strade diverseTornato dalla guerra, egli sposò Bruna Magnani, figlia dei vicini agricoltori della cascina Bosco Boneschi. La signora era una donna riservata, silenziosa, che non amava uscire dai confini della propria corte. I due fratelli Lucchini proseguirono il lavoro ancora insieme per un decennio, poi decisero di separarsi. Giovanni riprese il corso della propria vita: il lavoro, la famiglia, i figli Pierangelo e il nostro Giordano, testimone di questa storia, e la passione per la musica. Dalla tromba era passato al clarinetto: suonava almeno un’ora al giorno, e faceva parte della banda musicale del paese, militando anche sotto l’egida di diversi gonfaloni. La passione per la musica era davvero intensa: una volta, s’era in inverno, c’era una serataccia da lupi, la signora Bruna lo aveva supplicato di non uscire per le prove; sciur Giovanni le aveva promesso di rimanere in casa e, dopo cena, aveva detto di andare in rimessa per provare i fanali di un trattore: invece, aveva preso il mezzo e s’era precipitato a Monticelli d’Ongina dove si svolgevano le prove musicali della banda.Ai figli insegnò il rispetto della parola data, ancora più importante di una firma su un contratto. E la passione per il lavoro: ancora ottantasettenne, quasi sino alla fine dei suoi giorni, era sulla breccia!Proprio riguardo ai suoi figli, Pierangelo, diplomatosi perito agrario, ha insegnato alla scuola di Codogno; Giordano ha proseguito la tradizione paterna.
Un erede convintoA Giordano, che è della classe ‘47, sarebbe piaciuto studiare Veterinaria, ma già durante le scuole di avviamento capì che non gli sarebbe stato facile proseguire negli studi privilegiando al tempo stesso il lavoro in cascina: in quegli anni, l’azienda agricola dei Lucchini, vantava ancora un buon numero di bovine per la produzione delle carni, e vi era poi la terra da coltivare; inoltre Giordano aveva assunto l’impegno di contoterzista.Eliminata la stalla, proprio quest’ultima attività è divenuta per Giordano quella principale. Questa è basata sulla programmazione perché nel giro di un mese e mezzo occorre soddisfare le richieste di tanti colleghi agricoltori: d’altra parte la raccolta del frumento non può attendere perché altrimenti il cereale rischia di perdere una percentuale di glutine; s’intraprende così una corsa contro il tempo. Giordano Lucchini sa dividersi su più fronti: non crea aspettative inutili e rispetta sempre gli impegni presi. In quel mese e mezzo gira più che una trottola: poi la sera, si stende sul divano nel bel salone della propria dimora; sulle pareti vi sono quadri di artisti apprezzati, come la pittrice Ilia Rubini. Mi colpiscono pure alcuni bellissimi dipinti: penetranti gli sguardi, espressioni colte in un’umanità profonda e rivelatrici di emozioni. Apprendo così che sono della moglie di Giordano: Marinella Girotto, anch’ella di Castelnuovo Bocca d’Adda, insegnante in una scuola elementare di Lodi, e che ha il torto - posso dirlo? - di aver riposto troppo presto i pennelli dentro ad un cassetto.E a me piace pensare che lei possa disegnare un frondoso abete, sul limitare di un bosco, con lo sfondo di un notturno cielo stellato, e due uomini lì nei pressi - Giordano ed Eugenio - che si stringono la mano, come una volta si siglavano gli affari, ed oggi si scambiano i più bei sentimenti di perenne, profonda, autentica amicizia.
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