Rubriche/Cascine
Domenica 23 Settembre 2012
L’ultimo agricoltore della cascina Pergola
Mario Sconfietti ha lasciato la corte di San Martino nel 1992
«Ho girato mezza Lombardia - sospira, con voce bassa e tonante l’uomo col cappello - ma a Lodi ci ho lasciato davvero il cuore». Infatti, malgrado se ne sia andato da tanti anni, l’uomo col cappello è di frequente qui in città, ospite di Mario Locatelli, il narratore della civiltà malghese, e con lui ritrova i lembi di memorie perdute, di personaggi sottratti ai ricordi, di riti inghiottiti dall’oblio. Mario Locatelli è un poeta a sua insaputa: quando racconta dei malghesi fa sempre i conti con groppi alla gola che non gli si sciolgono. L’uomo col cappello è più prosaico: ha fatto un percorso, e se lo è messo alle spalle. Quella del malghese è una definizione che appartiene alla storia, adesso l’uomo col cappello è un tranquillo borghese cittadino: ha lasciato le cascine e vive in una villettina ad Osio Sotto: «Mi trovo bene anche lì, pur avendo a che fare ogni giorno coi bergamaschi, teste dure...».L’uomo col cappello è Mario Sconfietti, classe 1940. Sconfietti è stato l’ultimo agricoltore della cascina Pergola, quella posta di fronte ad un importante centro commerciale sulla via Emilia, e oggi luogo di culto e meta serale per i giovani. Andandosene lui, quella corte perse la sua identità agricola. Mario Sconfietti è un uomo particolare: arguto, scherzoso, con la caratteristica di non separarsi mai dal proprio cappello: «Una mia nonna - bofonchia - sosteneva che un uomo per essere veramente vestito doveva indossare il cappello. Questa storia l’ho sentita per la prima volta che avevo sei anni. La nonna la ripeteva continuamente. Ed ha influenzato la mia vita. Da ragazzino, per sentirmi più grandicello, e fare le cose che già facevano gli adulti, indossavo il cappello. Ho finito per non separarmene più!».
Tra i monti Sconfietti, pur grande e grosso com’è, parla con infinita tenerezza delle sue nonne: «La nonna paterna, Maria, era una donna energica, capace di governare benissimo da sola la malga; l’altra nonna, Luisa Ferrari, originaria di Graffignana, era una donna bellissima. E cantava benissimo: aveva una voce straordinaria. Proprio per quella sua dote, tutti la volevano come capo mondina: con i suoi canti alleggeriva la fatica delle altre donne, le faceva rendere il doppio». Gli avi di Mario Sconfietti abitavano alla malga Cavisole a Carona, dove avevano una piccolissima mandria di bovine da latte e una casera dove cagliare il latte. Il capostipite Sconfietti si chiamava “patron” Francesco; era un malghese con alcune ambizioni relativamente alla produzione del latte ed alla sua lavorazione: s’era aggiudicato, da parte del Consorzio Agrario di Bergamo, due medaglie d’argento per la realizzazione del formaggio più buono.“Patron” Francesco aveva trasmesso a suo figlio, Francesco junior (perché nella cultura malghese il nome si passava da padre in figlio, senza salti di generazione) la passione per la lavorazione del latte. La loro malga era divenuta un centro di spedizione: di frequente gli Sconfietti caricavano due muli di quintali di formaggi e di patate e - attraverso una cinquantina di chilometri impervi - scendevano a valle. Dovevano guadare il torrente Brembo: allora liberavano i muli e caricavano tutto sulle spalle, sino al raggiungimento dell’altra sponda del corso d’acqua. Barattavano i loro beni con altri di prima necessità.
Vino e formaggi Per molti anni Francesco junior Sconfietti fece il malghese: primavera ed estate su a Carona, ed ai primi freddi giù in pianura. Egli era un uomo particolare: apprezzava il piacere della compagnia e del vino, buono un bicchiere, ottimo il secondo, al terzo non poteva dirsi di no, il quarto era quello della staffa. Tutti i malghesi autentici apprezzavano il vino. La circostanza derivava dal fatto che, stando sempre da soli agli alpeggi, erano abituati a ritrovarsi in gruppo solo durante i matrimoni ed i funerali; e quelle occasioni fra parenti, perché i malghesi lo erano tutti fra loro, culminavano in festosi o commossi brindisi. Francesco junior Sconfietti era pure un agricoltore eccellente. Produceva il gorgonzola ed era uno dei fornitori di fiducia dello stabilimento Croce di Casalpusterlengo: e poiché quello dei Croce nel settore era un nome più che rinomato, di questa proficua e sincera relazione Francesco junior si faceva un comprensibile vanto.Con le sue bovine aveva un rapporto di straordinaria intensità: le apprezzava perché, oltre a fornirgli un reddito, sapevano avere buona memoria. Quando, dopo la pausa invernale, le bovine tornavano alla malga, arrivate a venti km da casa cominciavano a trotterellare perché riconoscevano la strada, e quando arrivavano in stalla ciascuna di esse riprendeva il posto che aveva lasciato cinque mesi prima.Si dice che Carona possa essere stata chiamata così perché da sempre abitata dai Caronelli, cugini degli Sconfietti, e che con loro dividevano l’alpeggio Cavisole. Dopo la guerra gli alpeggi cominciarono a spopolarsi. Bastava che un malghese non tornasse per un anno - allettato da proposte di permanenza da parte di affittuari o proprietari delle cascine - che alla fine sui monti finiva per non vedersi più.
Il trasloco a valle Anche Francesco junior Sconfietti ricevette la sua proposta e si fermò a valle. Egli aveva sposato Santa Cremaschi, originaria di Ossago Lodigiano, figlia di agricoltori, della cascina de Negri. La coppia ebbe tre figli: il nostro Mario, Mariarosa e Gianpiera.Nel Lodigiano, terra che frequentava da anni, Francesco Sconfietti junior si radicò subito. A favore del distacco dalle montagne, pesarono i ricordi di certi temporali di fine estate a Carona, improvvisi, che neanche a guardare le stelle e a fiutare il vento potevano mai paventarsi: Francesco aveva in mente il terrore delle bovine, le capre che cercavano di scappare col rischio di finire nei dirupi, tanto che occorreva legarle tutte a pali di legno, e tenere le più irrequiete per il giogo, mentre i fulmini illuminavano a giorno le vette e i tuoni sembravano squarciare le viscere della terra. A ripensare a quelle notti, rabbrividiva. Così nel 1947 decise di scendere in pianura e questa volta di restarvi: e, con il fratello Giovanni, giunse alla cascina Pergola.I due fratelli andavano d’accordo, ma come in ogni famiglia c’erano pure i momenti di tensione, che culminavano in scontri furibondi, dove sembrava dalla ragione chi rispetto all’altro alzasse più forte la voce: qualunque discussione alla sera annegava dentro una buona caraffa di vino, e l’indomani i due fratelli non ricordavano più i reciproci giuramenti di dividersi e di non vedersi mai più. Giovanni Sconfietti era un bravissimo ballerino, la cui fama era nota in tutte le balere del territorio: danzava sui ritmi del “vertical”, cioè dell’organino che emetteva suoni con i giri della manovella, e tutte le donne lo ammiravano.
Una corte ammirevole La corte Pergola in quegli anni era proprietà del lodigiano Antonio Dossena, un ricchissimo possidente di Lodi: sapeva fare i propri interessi, ma come i veri uomini d’affari era capace di trovare sempre un punto di incontro con i propri affittuari. Nel 1967 Dossena morì e diede in donazione la corte, come altre sue quattro cascine, all’Opera Pia di Lodi.La cascina Pergola era in condizioni eccellenti: Dossena ci teneva che fosse mantenuta in ordine. Il problema semmai, almeno sino alla realizzazione dell’Autosole, era il continuo transito di camion verso Milano: dalle quattro del mattino sino alle sette si formavano interminabili colonne di automezzi. L’ingresso principale della corte era sulla via Emilia; un altro portone si affacciava sulla strada per Cà de Bolli, ed un terzo verso i campi, a nord. La stalla era perpendicolare all’uscita di Cà dei Bolli, e attigua aveva la casera. Nei pressi pure la porcilaia, dove venivano tenuti i suinetti, partoriti da dieci scrofe: arrivati sui 25 kg venivano venduti, fatta eccezione per una trentina portati all’ingrasso. Alla cascina Pergola, i fratelli Sconfietti avevano una stalla con quarantadue bovine da latte a stabulazione fissa. E cinque dipendenti: due addetti alla mungitura, e gli altri in campagna. Per chi sino a quel periodo aveva lavorato solo in conto proprio era un vero cambio di mentalità.In quel periodo Mario si affiancò al padre e allo zio, gradualmente sostituendoli. Lui aveva la stessa tenacia degli avi, e le stesse distrazioni. Nei momenti liberi, si recava in osteria per giocare a carte: andava all’osteria di Sesto Pergola, dove l’oste si chiamava Orsini e faceva salami d’eccellenza; o a Cà de Bolli, dove c’erano come osti gli Olivari, ed anche lì si desinava bene; oppure all’osteria San Giuseppe, all’Olmo. La notte per lui era fatta per giocare a briscola. Era l’ultimo avventore a lasciare il locale. Gli amici di Mario raccontano che sua madre era solita cucinare alla sera il pranzo dell’indomani, e a riporlo dentro al forno per tenerlo al caldo; lui rientrando di notte era capace di ingollare anatre intere; poi, per depistare sul malfatto, e spargere pesanti indizi sul cane di casa, spargeva le ossa del volatile per la cucina e sul lastricato del patio. L’indomani la madre, arrabbiatissima, bastonava il cane. Una volta, mossosi a compassione per la povera bestiolina, ammise alla madre che a mangiarsi le pietanze era lui. Mario Sconfietti dice che non sa se certe racconti siano accaduti veramente o facciano parte di un’aneddotica che gli amici si inventano ad arte. Invece sui motivi per cui è rimasto scapolo impenitente, vuole raccontare la sua versione dei fatti: da buon malghese lui ha sempre amato la montagna ma, guarda caso, nella sua vita ha trovato soltanto donne che apprezzavano il mare; d’inverno ci si fidanzava, poi d’estate occorreva lasciarsi: impossibile così pensare ad un matrimonio!Nel 1992 quando la cascina fu posta in vendita dall’Opera Pia, Sconfietti rinunciò a fare un’offerta, e si trasferì, smettendo di fare l’agricoltore.Sconfietti racconta della sua passione per la pesca, e delle anguille che sapeva prendere con estrema facilità. Sarebbe piaciuto al grandissimo Cecu Ferrari un uomo così: con i baffi da brigante, il cappello, il bicchiere di vino pronto alla bisogna. Un bel piatto di salame, le carte da briscola per una partita, e la sera che pare non divenire mai notte.
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