Di speranza di maggiore libertà. Per tutti e non per pochi. Così come essa o è completa o non è.Milano, dopo aver deciso con voto dei presidenti di tutti i gruppi politici presenti in Comune, di attribuire al Dalai Lama la cittadinanza onoraria, ha rinviato ”sine die” il provvedimento cedendo ad una pressione cinese che si è dimostrata irresistibile. Ha ceduto alla forza del potere economico e della sua capacità di ricatto. Ma anche alla sua stessa insipienza di rappresentanti irriconoscibili ed indegni di una storia, che prima e dopo il fascismo dei primi Redentoristi, è sempre stata di grande dignità e di respiro certamente libertario.Sul balcone sovrastante lo scalone principale d’ingresso al Comune di Lodi , dalla piazza del Broletto, se si osserva con la certezza di dovervela ritrovare, si nota la presenza della bandiera tibetana che Lodi ha da tempo voluto riconoscere come simbolo della giusta rivendicazione del diritto dei popoli al rispetto del proprio retaggio ed autonomia culturale e religiosa; e deciso, a tal fine, che fosse esposta nella sede del proprio Consiglio. Non sventola più però, se mai lo ha potuto fare, tanto è ormai ritorta su di sé, quasi pateticamente inutile.Un’altra, identica bandiera, ha sventolato( ed ancora oggi sventola), molte volte, sul balcone dirimpetto al Palazzo del Governo , sede della Prefettura di Lodi, alternandosi con altre che sostengono e testimoniavano iniziative politiche di particolare significato umanitario portate avanti da altre organizzazioni Radicali dotate di un loro statuto e di un conseguente specifico vessillo ( è il caso di “Nessuno tocchi Caino” nella sua battaglia di ieri per la moratoria universale della pena di morte all’Onu; o di “Non c’è pace senza giustizia” che oggi sostiene, nella stessa prestigiosa sede internazionale , la messa al bando delle mutilazioni genitali femminili...). È un balcone “privato” in cui è domiciliata la presenza organizzata a Lodi del Partito Radicale Nonviolento Trasnazionale e Transpartito .Quella “si nota” di più, firse quasi come se fosse esposta sul fronte della loggia comunale che dà sulla piazza della Vittoria. Ma non” si vede” con la nettezza e la riconoscibilità che meriterebbe: ovvero di simbolo di un popolo e di una cultura invasa e, dominata, infiltrata a forza sino ad essere divenuta minoritaria nel suo stesso territorio d’origine, il Tibet occupato da ben oltre un cinquantennio e con prospettive di cancellazione dalle mappe dell’umanità in un dichiarato tentativo di rendere un fatto compiuto contrario alla legalità internazionale ( l’invasione da parte cinese al tempo del Grande Condottiero) legittimato dalla forza sorretta dalla violenza. Sulla bandiera cinese al paese sul “tetto del mondo” è “concessa” una delle quattro stelline che fanno arco attorno alla grande stella del popolo degli Han.Il Dalai Lama non si è mai scostato dal “sentiero di mezzo” della nonviolenza anche nelle estenuanti trattative-farsa che hanno avuto luogo fra delegazioni sino-tibetane di assoluta disparità di rango politico e di sostegno internazionale; lo stesso 14° Dalai Lama ha rinunziato alla sua dignità di capo politico per mantenere quella di capo spirituale decidendo che il suo successore sarà eletto democraticamente. Ma, soprattutto, si è impegnato a dissuadere dalle crescenti tragiche manifestazioni di autoimmolazione, ed orientare alla pace, oltre ai monaci e monache dei monasteri rimasti, quei giovani nati fuori dai confini del Tibet, da loro mai conosciuto, ed ospitati in massima parte in India , che minacciano come privo di alternative, per disperazione, il ricorso ad una violenza certa apportatrice di altri orrori. Se un Paese come il nostro, che si voleva “libero e forte” nel nome della giustizia e del diritto, si piega alle ragioni della forza persino nelle sue realtà amministrative territoriali più rappresentative giustamente orgogliose della loro autonomia politico- culturale, allora è tempo di richiamare chi crede nella legalità e si batte in nome della verità e della giustizia, di fornire un piccolo lembo di testimonianza ulteriore, sostitutiva se non può essere integrativa, della conferma della propria dignità rivendicata.Se non con altri mezzi politici nonviolenti più adeguati, almeno con una bandiera in più.(In sua mancanza, una semplice sciarpa bianca di tessuto leggero può, anch’essa, fare alla bisogna)
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