È davvero giusto affidarsi al buon senso dell’elettorato?

Tre referendum aspettano gli elettori italiani il prossimo mese di giugno. Riguardano la gestione pubblica del ciclo dell’acqua potabile, l’opzione nucleare nella produzione dell’energia elettrica ed il cosiddetto “legittimo impedimento”. Viene da domandarsi se l’istituto del referendum, sancito dalla nostra Costituzione, sia sempre, per ogni problema, uno strumento funzionale alla gestione in via democratica del Paese, in particolare idoneo a decidere del suo futuro. Doverosi e seri dubbi emergono infatti quando viene demandata agli elettori una scelta su temi complessi, spesso a loro poco noti o totalmente sconosciuti: un giudizio tra l’altro senza appello, pronunciato da una maggioranza sovente impreparata a coglierne le ricadute, più o meno lontane, che condizioneranno lo sviluppo della società in futuro. È questo certamente il caso del secondo referendum, quello che mira a chiudere ancora una volta la porta (la prima volta accadde nel 1987) all’energia nucleare in Italia. L’energia nucleare non ha mai avuto da noi molti estimatori, inoltre il recente disastro giapponese ha aggiunto legittime preoccupazioni nella pubblica opinione. La stessa moratoria di un anno, decisa pochi giorni fa dal Governo, lascia intravedere mancanza di vera determinazione anche al vertice. C’e da pensare che il giudizio è già scontato e che il nucleare sarà bandito in Italia ancora per molto tempo. Dobbiamo essere felici pensando che il buon senso della gente alla fine sconfigge le pericolose illusioni di pochi cervelloni? A mio modesto avviso c’è di preoccuparci dell’opposto. Il problema dell’energia, del suo fabbisogno, delle fonti disponibili per il suo approvvigionamento, dei suoi costi di produzione etc. non è cosa di facile esemplificazione. Offre poche concrete soluzioni ma molte occasioni di dibattiti, che portano quasi sempre a conclusioni assolutamente discordi. Non è certo questa la sede per riprendere un tema tanto complesso. Si vuole solamente porre l’accento sulla nostra strana consuetudine di non rivolgersi per questa scelta, come per altre molto importanti per il futuro del nostro Paese, ai più preparati, ma ai meno competenti, soprattutto se numerosi, quasi avessero essi in tasca la soluzione razionale del problema. Esattamente l’opposto di come ci comportiamo in privato, dove, per ogni evento ci tocca affrontare personalmente, ci rivolgiamo sempre a chi, per competenza e preparazione, ci può indicare la strada maestra, ossia la più affidabile, anche se non la più gradita. Che sia questo un limite della democrazia? Inutile comunque lamentarsi, poiché essa rimane pur sempre, come è stato detto, la migliore fra le tutte le cattive forme di governo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA