Gentile direttore, scrivo a lei perché ritengo che le pagine delle lettere del «Cittadino» costituiscano una ricchezza che altre città non possono vantare. Le vostre pagine sono diventate uno dei rari luoghi nei quali chiunque, anche coloro che non hanno voce, possono esprimere liberamente il proprio pensiero, e sono tutti trattati allo stesso modo.Voglio affrontare il problema delle gite scolastiche. Mio figlio frequenta le scuole superiori e gli insegnanti (non gli studenti!) hanno scelto come località per la gita scolastica annuale, di quattro giorni, le Dolomiti. Non visiteranno le località delle Dolomiti legate a vicende della storia d’Italia, né antiche pievi o ruderi di castelli medioevali. Faranno quattro giorni di ...trekking.In classe sono in venticinque tra ragazzi e ragazze. Cinque di questi ultimi appartengono a famiglie di immigrati. E (chissà perché...) nessuno di questi ragazzi e ragazze ha aderito alla “gita” scolastica. Gli altri cinque che resteranno a casa (chissà perché...) hanno genitori che vivono situazioni disagiate dal punto di vista economico o affettivo. Ad andare a fare trekking sulle Dolomiti ci andranno in quindici “eletti”, tra cui mio figlio. Gli altri dieci, i poverini, a casa.Mi chiedo: è giusto tutto questo? Vale la pena organizzare queste “gite” scolastiche nel pieno di una crisi economica che sta travolgendo migliaia di famiglie, creando volente o nolente situazioni nelle quali emerge che solo gli appartenenti ai nuclei che non hanno problemi economici possono prendervi parte? Ma gli insegnanti non le pensano queste cose? Loro probabilmente hanno uno stipendio fisso e sicuro e certi problemi non li toccano. Perché i presidi prima di autorizzare con leggerezza queste che chiamano “uscite didattiche” (ma quattro giorni di trekking sulle Dolomiti lo sono?) non riflettono bene sulle implicazioni e sulle ricadute che possono innescare?
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