Invitato a scrivere una lettera al Cittadino da alcuni giovani che liberavano dai rifiuti l’area del Belgiardino, mentre io, di buona mattina, praticavo jogging lungo le rive dell’Adda, volentieri accetto l’invito per segnalare lo stato di grande abbandono in cui versano alcune aree del fiume che attraversa, si fa per dire, la nostra città. Osservo spesso infatti come le rive, soprattutto nel periodo estivo sono molto frequentate, attualmente da immigrati di diversa provenienza ( molti sembrano essere dell’est europa) che festosamente occupano i ghiaieti, accendendo fuochi e carbonelle per preparare le loro colazioni tra il verde. Molti connazionali preferiscono affollare le trattorie lungo il fiume per poi concedersi, dopo un buon pranzo, un poco di sole. Tutto bello, si intende, ma i problemi sono dietro l’angolo e non tardano a manifestarsi. Verso l’ora di sera gli immigrati tornano a casa, ma non tutti i rifiuti fanno il viaggio di ritorno verso le vetture da cui provengono. Un gran fetore si diffonde lungo le rive e i sacchi di immondizie si accumulano dove meno te lo aspetti. Non sono che sintomi di una grave minaccia che a poco a poco sta uccidendo quello che resta di un fiume, un tempo molto bello e oggi ridotto a ben triste realtà. Cosa dire del resto del fatto che in tutto il suo corso l’Adda non sia balneabile ? Qualcuno potrebbe farmi osservare che pretendo troppo e che i fiumi tutto sommato servono all’acqua, pulita o sporca, per scorrere fino al mare, portandovi tutto ciò che la grande pianura non accetta sulla sua terra. Eppure un tempo sul Fiume, quando era balneabile e pescoso, ci si divertiva e tutto era più bello. Perfino i sassi del fondo erano più chiari e persino profumati. Oggi non è più così e nonostante la creazione di un parco fluviale ogni cosa sembra destinata ad un lento ed inesorabile degrado. Capisco che l’epoca che stiamo vivendo ci porta sempre peggiori sorprese, dal riscaldamento globale alla perdita della biodiversità, tuttavia penso che alcune coraggiose iniziative debbano essere attuate, onde tentare di attuare un’inversione di rotta, per il bene del fiume, ma anche dei più giovani lodigiani. Cosa resterà infatti, una volta definitivamente perduto anche questo fiume, del nostro paesaggio più caratteristico e del nostro territorio? Ho letto recentemente che anche il fiume Ticino, un tempo definito azzurro, non ha più sponde balneabili, ma nessuno probabilmente se ne rammenta, al momento di stendere i piani d’attività degli enti e delle istituzioni preposte alla salvaguardia e alla valorizzazione dell’ambiente fluviale. Sorge inevitabilmente più di un interrogativo sulla natura e sulle finalità delle attività poste in essere sia dalle istituzioni pubbliche che dai privati. È infatti sufficiente varcare i confini nazionali per vedere parchi e fiumi meravigliosi, magari realizzati in aree meno industrializzate della nostra, ma qualche volta vicini ad aree altamente antropizzate. Purtroppo sembra che i nostri produttori agricoli, nonostante i contributi regionali, destinati a rendere l’agricoltura più competitiva, riversino molti degli scarti delle loro produzioni, incluse le deiezioni animali, nelle rogge e risorgive che abbondano sul nostro territorio. Dunque potrebbe essere questa la ragione per cui l’acqua del fiume non è balneabile. Tutto ciò non è né auspicabile né alla lunga sopportabile, in una società che si ritiene civile e in cui ogni cittadino è chiamato a dare il proprio contributo al benessere collettivo. Anche l’accesso al fiume, così come la fruizione delle sue rive, probabilmente non è regolamentato a sufficienza. Ciò non significa produrre normative astruse, bensì comminare punizioni esemplari ai maggiori trasgressori, non al bambino che getta una carta di caramella, ma soprattutto realizzare operativamente quegli strumenti che consentano all’ente gestore di controllare l’accesso alle rive, da parte dei cittadini, senza deprimere e danneggiare la natura circostante. Non si può scartare prioritariamente nessuna ipotesi, a mio avviso, nemmeno quella di un piccolo pedaggio, onde consentire la realizzazione di parcheggi e di aree di raccolta organizzata dei rifiuti, perché altrimenti questo cosiddetto parco è destinato a durare ancora per poco, con buona pace per gli amanti del turismo sostenibile e all’aria aperta. Molti sembrano quindi essere i problemi che affliggono il parco dell’Adda, così come altre realtà similari nella nostra regione. Ho già ricordato che metterei al primo posto l’impatto delle attività agricole, secondariamente quello del turismo incontrollato e niente affatto sostenibile, da ultimo le azioni poste in essere dai non pochi fruitori del Parco, nella direzione di renderne alcune caratteristiche più vicine e adattabili all’uso che, in modo legittimo, ne fanno. Mi riferisco soprattutto a quanti, con l’intento di disseminare la vita nelle acque del fiume, in realtà moltiplicano le minacce alle preesistenti e peculiari forme di vita, diffondendo specie alloctone o animali potenzialmente in grado di far arretrare ancora di più la poca e malandata biodiversità rimasta. Credo che soprattutto sarebbe grandemente salutare un confronto con altre realtà europee, finalizzato alla definizione di modelli e standard di intervento, guidati da un monitoraggio specificamente indirizzato a tenere sotto controllo la massa delle attività antropiche che si riversano quotidianamente sul fiume oltre che, naturalmente, la qualità delle sue acque, mai così pericolose per chi vi si bagna. Credo anche che, sotto molti aspetti, una gestione accorta e lungimirante del parco potrebbe dare un positivo contributo alla creazione di occasioni, per il settore della ricerca universitaria e per la formazione scientifica dei giovani studenti che, altrimenti, attualmente avrebbero ben poche prospettive di impiego utile e qualificato nel settore dell’ambiente.
Cordiali saluti
© RIPRODUZIONE RISERVATA