Ciao bambini, sono Daria la Quercia Solitaria. Vivo sola soletta ai bordi di una roggia senz’acqua e senza vita.Soia, in mezzo a questo desolante nulla che un tempo fu ubertosa campagna, unica superstite di un rigoglioso filare di splendidi esemplari di ogni specie, robinie, platani, gelsi, salici, ecc. Sono sopravvissuta perché sono stata «mappata», cioè fotografata e messa in un archivio e catalogata come «intoccabile». Nessuno si può più accanire contro di me. Un «privilegio» che mi ha obbligato, però, ad assistere impotente all’abbattimento sistematico di tutte le altre piante, una miriade di sorelle, amiche, cugine, zie, compagne di filare. Un’assordante ed arrogante motosega ha posto fine alla loro vita. Così, dall’oggi al domani, tagliate come appendici inutili, depennate dalla vita come obbrobri della natura, sradicate come si fa con un cattivo pensiero. Sono state «nominate» e poi come in un crudele Grande Fratello ELIMINATE non a colpi di televoto ma di lama dentata. Uomini che parlano di agricoltura sostenibile si sono apprestati, con la bava alla bocca, a dar fine con un taglio netto a coloro che per secoli sono state loro fedeli compagne, coloro che hanno protetto i loro campi dal vento, li hanno nutriti e riscaldati in epoche ben più difficili di questa che stiamo vivendo, hanno vegliato sui loro sonni pomeridiani ombreggiando il loro meriggiare, hanno accompagnato con il loro stormir di foglie le parole d’amore sussurrate «suta una gabada». Solide e forti hanno vigilato sulle loro case, stabilizzando con le loro forti braccia sotteranee il terreno rendendolo più sicuro e meno soggetto a smottamenti. Perché questi nuovi abitanti delle cascine, figli e nipoti di coloro che ci hanno amate e rispettate, coccolate e vezzeggiate, potate affinchè crescessimo più rigogliose e forti, ora ci odiano a tal punto da cancellarci dall’elenco delle cose utili? Emettiamo forse miasmi velenosi? Siamo la causa di qualche malattia incurabile? Abbiamo fatto del male ai loro figli? Siamo l’immagine di un passato da cancellare? Sapete bambini qual è la maggior colpa che ci imputano coloro che ora fanno di noi inerti cumuli di legname? Che siamo un inutile orpello in campagna perché intralciamo il passo dei loro inadattissimi supertrattori che come elefanti in cristalleria cercano di muoversi sulle stradine interpoderali. Ombreggiamo alcuni metri quadri di prodotto incidendo in maniera «decisamente» negativa sui bilanci delle aziende, la stupida logica del profitto cieco di questa insostenibile agricoltura sostenibile. Ostacoliamo il passaggio delle loro macchine tritatutto, che spolpano tutto ciò che di arboreo nasce ai bordi delle nostre belle rive cespugliate, habitat classico dei nostri territori, rifugio e nutrimento di innumerevoli specie animali. Le polveri sottili stanno seppellendo questo nostro mondo agreste e la lungimirante risposta qual è? Distruggere chi emette ossigeno?Gli abitanti delle cascine e i proprietari dei fondi agricoli non sono certo i soli colpevoli di questa abominevole strage arborea. Gravi colpe hanno gli amministratori locali e i legiferatori che avallano questo scempio, anzi armano prima le mani dei «tagliatori» e poi forniscono loro l’impunità con regole che nulla hanno a che fare con il buon senso ma assicurano un bacino di voti indispensabile. Mi chiedo, inoltre, dove sono tutte quelle persone che a parole si dicono amanti della natura? Dove sono coloro che questuano soldi per salvare la lontanissima Amazzonia e non sono in grado di salvare un filare di «gabe» sotto la finestra di casa? In un paese civile le piante si tagliano al termine del loro ciclo vitale, successivamente si effettua la ripiantumazione. Lodigiani incivili quindi? Non credo, anzi sono sicura che dopo questa deriva insensata si torni ad aver rispetto per noi piante e a vivere in comunione. Voi bambini, che siete in grado di parlare al cuore, fatelo sapere a tutti, alzate la voce per fermare questo assurdo abominio perché (e qui cito il mio amico Guccini) «l’ignoranza fa paura ma il silenzio è uguale a morte». Voi genitori ricordate sempre che «non ereditiamo il mondo dai nostri padri ma lo prendiamo in prestito dai nostri figli».
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