Bianchi quinto a Tokyo

e dieci volte “tricolore”

Succede parecchi anni fa. Lo “Sportivo Lodigiano”, il giornale settimanale di Lodi, organizza, in collaborazione con il Csi una corsa campestre. L’avvenimento nei numeri precedenti all’appuntamento viene presentato con un certo rilievo: una corsa che avrebbe raccolto i migliori atleti del territorio, un percorso studiato ad hoc, uno spettacolo assicurato. Arriva il giorno della gara e una trentina di corridori si presentano al via. Fra i partecipanti Carlo Brambilla e Vittorio Scarpanti, i due più quotati lodigiani, rispettivamente primo e secondo nel campionato di campestre del Csi. La competizione si svolge sui prati di Campo Marte al di là del ponte e vince uno venuto “da fuori”, Alberto Rotta

della Riccardi, che precede Brambilla. Citazioni anche per altri concorrenti di casa, quali Aldo Vicario, Vittorio Cirini e Corrado Bassi, quest’ultimo impegnato nel rilancio della disciplina nel Lodigiano. Tutto finisce in gloria e nei resoconti sul giornale non mancano i peana: una bella competizione, medaglia d’oro al primo, molto pubblico, organizzazione all’altezza, premi in quantità. C’è anche un “pezzo” di Alessandro Egi, responsabile dell’atletica del Csi. L’ottimo dirigente, già campione italiano dei 110 ostacoli, in possesso di una ricca scrittura italica, anziché indorare la manifestazione rileva le pecche organizzative mettendo, fra l’altro, l’accento sulla presenza di voraci zanzare...

Torniamo allo start. Prima del via si presenta un giovincello dal fisico asciutto e dagli occhi lucenti che chiede di partecipare. Come lo vedono, gli altri prontamente informano: «Ma lui è “nazionale”, noi non ci stiamo». Come a dire che lo status del giovane propone confronti impari. La giuria stabilisce però che venga ammesso, con la balorda norma “fuori corsa”, cioè non sarebbe entrato nella classifica ufficiale. Il ragazzo non fa una piega, corre e sbaraglia gli avversari, precedendo Rotta di qualche centinaio di metri. Quale premio si prende una bottiglia di vino, se ne va e non tornò più a correre da queste parti, altri palcoscenici lo attendevano.

Si chiamava Francesco Bianchi, era nato a Melegnano il 15 gennaio 1940. Il suo valore era noto sin da allora ma poi, nel giro di un paio d’anni, è diventato il miglior mezzofondista italiano, dominatore della scena per oltre un quinquennio. Aveva iniziato a correre presso il centro giovanile dell’oratorio di Melegnano, per poi vestire i colori della Pro Sesto. Si perfeziona in seguito negli Usa sotto la guida di Luigi Beccali, oro a Los Angeles nel 1932. L’episodio di Lodi testimonia come fosse preso dal piacere di correre, pronto ad allinearsi ovunque ci fosse una gara.

In carriera vince ben dieci titoli italiani, sei negli 800 e quattro nei 1500. Nei due giri di pista coglie gli allori dal 1961 al 1965 e ancora nel 1967. Nei 1500 le sue maglie tricolori vanno dal 1962 al 1965, con un clamoroso miglioramento di 9 secondi tra il primo (3’54”1) e l’ultimo (3’45”1). Su entrambe le distanze i tempi ottenuti nel 1965 costituiscono altrettanti primati italiani. Bianchi è azzurro in confronti internazionali, vince parecchio in ogni dove, partecipa agli Europei. Alle Olimpiadi di Tokyo del 1964, le prime della storia che sbarcano nel continente asiatico, è un designato d’obbligo per la squadra nazionale. In quella rassegna si classifica quinto negli 800 con il tempo di 1’50”2 e settimo nei 1500 con 3’47”9 (per la prima volta nella storia c’è il cronometraggio elettrico). In entrambe le gare l’oro va al neozelandese Snell, rispettivamente con 1’45”1 e con 3’38”1. La prestazione del melegnanese può essere considerata buona, anche se sugli 800 risulta inferiore alle aspettative. Teniamo presente che in quel periodo si affacciano alla ribalta i dotati atleti africani nelle corse lunghe, quindi non è facile emergere. Alla fine nel medagliere l'Italia è comunque ottima quinta con dieci ori, altrettanti argenti e sette bronzi.

Per Francesco quelle Olimpiadi sono non più di una parentesi interessante, per lui è stato importante esserci. Torna a casa e continua a correre. Poi, nel 1967, non si sa quali motivazioni lo spingono ad abbandonare l’atletica. Ha solo 27 anni, è nel pieno di una carriera che promette altre vittorie. Passa l’ideale testimone della staffetta del mezzofondo italiano a Franco Arese, attuale presidente della Federazione atletica italiana. Lascia l’agonismo, ma non la voglia di correre per diletto, senza trascurare di allenarsi. Mosso da curiosità e desideroso di nuove esperienze, è dapprima istruttore dei ragazzi di Carugo Brianza e, da appassionato della montagna, istruttore di roccia del Cai di Melzo. Si dedica anche alla politica avendo a cuore le vicende della sua città e viene eletto consigliere comunale di Melegnano nel 1970 e rieletto nel 1975. Contemporaneamente è assessore allo sport e al tempo libero a cui si aggiunse l’assessorato al commercio e artigianato.

Il tragico epilogo. All’“Arena” di Milano il 20 settembre 1977, mentre si allena, è colpito da un infarto che lo porta alla morte. È stato un uomo animato dal desiderio di fare, di scoprire se stesso e il mondo che gli stava attorno, forse non gli riuscì a cogliere tutto quello che avrebbe voluto. Melegnano gli ha dedicato una piazza.

Walter Burinato

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