Luigi Porro e sua moglie Maria Maggi, originari di Cuvio (Varese), lasciano il paese nella seconda metà dell’800 per venire a Milano, dove gestiscono un ristorante nella zona di Porta Ticinese. Non è noto per quali motivi Maria Maggi si trovasse a Lodi Vecchio, sta di fatto che il 16 gennaio 1885 mette alla luce un bambino, Enrico. I Porro di Cuvio sono il ramo di un’antica casata risalente al 1400: questo dice un documento. Ci fosse o no un quarto di nobiltà dei loro ascendenti, sicuramente sono proletari per censo, per cui vengono a cercare fortuna nella metropoli lombarda. Enrico Porro
Di carattere irrequieto, Enrico con il crescere diventa rissoso, mosso continuamente dalla voglia di menar le mani. Sua madre, disperata e presa dal lavoro, pensa che un viaggetto lo avrebbe calmato e quindi lo imbarca, quale mozzo, su una nave diretta a Buenos Aires. Non dura molto, poiché scappa dalla nave rifugiandosi da un cugino tipografo; ma non andando d’accordo con la moglie dello stesso, torna a Milano. Si mette a frequentare la palestra del rione denominata “el paviment de giass” nella quale d’inverno, con il freddo, la patina di umidità si congela. Porro si tessera con la Pro Patria, la gloriosa società milanese. Alto poco più di un metro e mezzo, peso sui 60 chili, occhi azzurri, orecchie a sventola, dotato di un possente torace e di due braccia con muscoli d’acciaio, si specializza nella lotta greco-romana, la disciplina che permette solo prese con le braccia e non sotto la cintola e che richiede, oltre all’abilità, anche mordente e parecchia forza. In poco tempo Porro riesce a farsi valere anche contro avversari più pesanti. A 17 anni partecipa e si impone nel suo primo torneo a Legnano. Ha messo a punto una tecnica che definisce “souplesse” e che userà in seguito. Si tratta di attendere l’attacco dell’avversario per poi prenderlo in controtempo e infine rovesciarlo. Porro nel 1904 è fra i migliori lottatori italiani e probabilmente sarebbe stato selezionato per le Olimpiadi se prima non fosse partito per il servizio di leva in marina, che durava allora cinque anni. Il giovanotto, giunto a maturità tecnica (l’agonismo lo ha nel sangue da sempre), conquista l’anno dopo il primo dei suoi titoli di campione nella categoria dei leggeri, la minore delle quattro in cui è suddivisa ai tempi la disciplina. Tale ristretto numero di specialità dà luogo a incontri impari fra lottatori che accusano una differenza di peso fino ad una decina di chili. È il caso di Enrico, che con i suoi 60 chili deve battersi con avversari più pesanti. Nel 1906 il marinaio di Lodi Vecchio si impone in Europa, facendo suo il titolo continentale. Ormai è un campione affermato e per lui si aprono le porte dell’Olimpiade del 1908 a Londra, la quarta dell’era moderna. Buon per lui che la Regia Marina gli accorda una licenza, pochi giorni prima della gara.
L’Italia partecipa ufficialmente ai Giochi di Londra allineando una pattuglia di atleti di valore. È quella l’edizione che registra la sfortunata impresa di Dorando Petri, il maratoneta privato del successo perché, essendo caduto, viene aiutato a rialzarsi. Porro passa il primo turno senza combattere, ma nel secondo incontro affronta l’ungherese Tèger che non attacca mai; la contesa è lunghissima e si conclude con la vittoria del lodigiano. Successivamente il nostro si trova di fronte in successione a due svedesi, prima Malmstrom e poi Persson: sono due scontri durissimi e nonostante gli arbitri avversi Enrico riesce a prevalere. Nella foga della lotta il suo costume va in brandelli e, non avendone altri di riserva, gliene presta uno un finlandese (o secondo un’altra versione, è il mezzofondista azzurro Lunghi a fargli tale prestito). Enrico giunge così alla finale contro il russo Nicolay Orlov, di sette chili più pesante. La scaramanzia si mette di mezzo: tutti i lottatori con le calze rosse avevano vinto, quelli con le verdi erano stati sconfitti. Una “gabola” (questa l’espressione usata dal nostro portacolori) viene consumata ai danni di Porro: gli danno infatti calze verdi. L’incontro è interminabile, dopo le due riprese regolamentari di 15 minuti l’una i giudici ne impongono una terza di 20’ per essere convinti alla fine della superiorità dell’azzurro. Facile pensare che in quell’ora che bruciava le energie, nella mente del piccolo uomo di Lodi Vecchio sciabolano i pensieri, sorretti dal tremendo desiderio di farcela. Poi l’attesa angosciosa del verdetto e infine l’urlo liberatorio del vincitore. È il 25 luglio 1908, anche la regina Alessandra ha parole di elogio nel cingere Porro con la medaglia d’oro e il pubblico lo applaude a lungo. È la prima medaglia d’oro conquistata da un azzurro alle Olimpiadi; il giorno dopo Alberto Braglia, il grande ginnasta, ottiene il secondo oro per i colori italiani.
Porro ritorna in treno a La Spezia dove svolge il servizio militare e dove viene accolto dalla banda musicale e da una folla plaudente. Gli arrivano le felicitazioni dell’ammiraglio Lucifero, degli ufficiali, dei marinai. In quella giornata per lui memorabile è a ballare la sera quando arriva il re Vittorio Emanuele III che vuole conoscerlo. Gli riassettano la divisa e lo portano al cospetto del re, il quale gli dona una medaglia d’oro (grossa come una michetta, come diceva lui), lo loda e sorride compiaciuto nel constatare che un “omino” con una statura simile alla sua era stato capace di cotanta impresa.
Enrico vince due dei suoi titoli nazionali nel 1909 e nel 1910. Nel 1912 avrebbe dovuto partecipare alle Olimpiadi di Stoccolma, ma in un incidente di lavoro (è diventato meccanico) si brucia una mano ed è quindi costretto a rinunciare
La Guerra Mondiale è alle porte, il campione continua ad allenarsi fra mille difficoltà e riesce a piazzarsi secondo a un campionato delle truppe alleate. Due anni dopo la fine del conflitto vince il suo quinto titolo italiano nella categoria dei pesi gallo, nel frattempo istituita, che gli permette di battersi con avversari di pari peso. La federazione lo spinge a partecipare alle Olimpiadi del 1920 ad Anversa e del 1924 a Parigi, ma le due rassegne sono per lui esperienze negative, eliminato nei primi incontri. A parte gli anni che avanzano, deve far fronte alla nuova tecnica di lotta, più agile di quella, fatta di forza ma statica, che lui praticava. Si ritira e si mette a insegnare ai giovani che gli riservano stima e amicizia. Con il passare del tempo il carattere dell’ex mozzo si ammorbisce, diventa socievole e loquace, da tipico “milaneson”. È colpito da atrofia muscolare, si spegne a Milano il 14 marzo 1967. A Lodi Vecchio, nella palestra delle scuole Medie di via Cavour, a lui dedicata, per iniziativa del Coni Provinciale e del Comune di Lodi Vecchio, è stat scoperta una targa che così recita: «Ad Enrico Porro 1885-1967, atleta locale di lotta greco-romana, prima medaglia d’oro olimpica italiana - Londra 1908».
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