SAN DONATO MILANESE Tutto ruota intorno alla Snam Metanopoli. Armando Mulinacci, 54enne funzionario dell’Eni, parte proprio dalla società sandonatese per la sua avventura nel calcio, direzione Sant’Angelo, e torna al centro sportivo “Maritano” per fare l’allenatore. Per il futuro però non si sa. Certo, le sue tappe sono state di tutto rispetto soprattutto da attaccante che in Serie C (con un’ottantina di gol) tiene sulle spine le difese avversarie per il suo scatto bruciante, ma poi anche da allenatore che mette a disposizione di giovani e meno giovani le sue esperienze in giro per l’Italia. Ma Mulinacci si fa conoscere, in buona compagnia, proprio nel Sant’Angelo delle meraviglie che nella stagione 1978/1979 vince il campionato di C2: «Siamo arrivati in rossonero in sette da una formazione che aveva vinto tutto a livello di Allievi con mister Zanchetta: nel gruppo ci sono anche i gemelli Vittorio e Giacomo Samaden, che poi saranno con me in prima squadra e che a Sant’Angelo si ricordano bene. Vinciamo quel campionato con i vari Marchesi, Maldera, Cappelletti e Peroncini, con in panchina Giancarlo Danova che rimane anche l’anno successivo in C1 quando arrivano anche Braida, Trainini, Giani e Lancetti, per fare qualche nome, mentre il terzo anno c’è Emilio Zanotti. È un periodo bellissimo perché andiamo a giocare in grandi città e riusciamo a vincere con fior di squadre come Piacenza e Cremonese, mi ricordo ancora la doppietta di Braida, o nei derby con Fanfulla e Pergocrema che vinciamo sempre. In pratica si viveva tutta la settimana per la partita della domenica con un seguito da parte dei tifosi barasini che non aveva uguali da altre parti. E io divento il “Keegan del Lodigiano” (a beneficio dei più giovani Kevin Keegan era un calciatore inglese, di professione ala destra, esploso nel Liverpool negli anni Settanta ma capace di vincere anche in Bundesliga con l’Amburgo, e da allenatore è diventato anche ct dell’Inghilterra tra il 1999 e il 2000, ndr) in alternativa a Tosetto, il “Keegan della Brianza”». Poi c’è il passaggio al Piacenza (lui, piacentino di Cortemaggiore) appena rilevato dalla famiglia Garilli, con Titta Rota in panchina e Armando Madonna in campo: «Vinciamo subito il campionato, tornando in C1 col Pavia (con Mulinacci a segno 12 volte, ndr) e anche in questo caso i ricordi sono molto belli,nonostante la retrocessione l’anno successivo con il pronto ritorno in C. Anche perché poi scopro nel libro di Pippo Inzaghi una bella foto anche con l’altro fratello Simone, in campo come raccattapalle, che dichiara di considerarmi suo idolo. Certo, poi lui ha fatto un po’ più strada, ma è sicuramente un bel complimento». In fondo le caratteristiche sono le stesse, che Mulinacci cerca di mettere a frutto nella breve parentesi a Brescia, poi al Pavia degli Achilli e a Rimini sempre in C1. Ma ci sono anche le belle esperienze nella Nazionale Militare di Azeglio Vicini, che passerà poi all’Under 21, e nella rappresentativa di Serie C con Giovannini. Ma il richiamo della Snam è forte e a 29 anni Mulinacci termina la carriera da professionista e torna a casa ottenendo il patentino di allenatore. Poi passa all’Accademia Sandonatese con il presidente Giorgio Longinotti, che porta in Prima Categoria, ma riprende alla Metanopoli per sette anni (anche in questo caso c’è il passaggio in Prima) e poi arriva alla corte di Amedeo Loberto («Un grande presidente») allo Sporting San Donato per un’esperienza che culmina con la promozione in Eccellenza e avversarie che si chiamano Varese, Fanfulla, Sant’Angelo e via dicendo. Poi Mulinacci approda al Tribiano dove incappa nell’unica retrocessione della sua carriera: «Però non la considero un’esperienza negativa, perché anche una sconfitta ti arricchisce». Ritorna allo Sporting, va a Melegnano ancora con Longinotti in Promozione e da tre anni ritrova la sua «casa» alla Metanopoli come allenatore e direttore tecnico del settore agonistico. Metterà finalmente le radici? «Non si può mai dire, anche se faccio parte di un progetto importante della società per aver preso in gestione per 25 anni i campi del centro “Maritano”, in pratica una cittadella dello sport, con il calcio che continua ad avere un ruolo importante con una ventina di squadre in organico». E Mulinacci coordina tutta l’attività delle squadre della fascia agonistica, anche se gli piace comunque seguire anche i bambini della scuola calcio. «Del resto io penso che il calcio non sia cambiato, è più o meno lo stesso di 23 anni fa quando ho cominciato ad allenare. Si alternano magari fasi diverse con un periodo in cui si predilige l’aspetto fisico e tattico o quello in cui prevalgono i valori tecnici, come in questo momento sull’onda dei successi delle squadre spagnole. Sono un po’ delle mode che si trasferiscono anche sui nostri campi e l’allenatore deve essere bravo a gestire queste situazioni, magari in ambienti non facili e con venti teste da combinare, convivendo anche con la sconfitta, che è comunque un modo per riflettere su certi errori e conoscere i propri limiti». E allora diventa essenziale il gruppo: «Non è la solita frase fatta - specifica Mulinacci - ma tutti i giocatori devono essere coesi e remare dalla stessa parte, magari contro l’allenatore, ma con un solo obiettivo da perseguire. Allora i risultati vengono di sicuro e ti gratificano dei tanti sacrifici fatti. È come nella vita e nel lavoro, anche se adesso le televisioni trasmettono partite a tutte le ore e ci portano via un sacco di spettatori». Con la famiglia che diventa l’unico diversivo al calcio (e alla Metanopoli): «Ho due figli e il poco tempo che mi resta lo devo dedicare a loro. Per forza».
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