Pesatori fa scuola con l’Aiac Lodi

BREMBIO Pallone e famiglia. Gianni Pesatori fa il nonno, ma la passione per il calcio è sempre la stessa e sul campo ci sta ancora bene. In questi giorni estivi c’è anche più tempo per accompagnare i nipotini al Grest, ma il Fissiraga lo attende per l’inizio della nuova stagione. «Sto sempre aspettando che mi dica “smetto” - interviene la moglie Tiziana - ma so che gli piace e in fondo è il suo mondo. E poi siamo una famiglia di allenatori, con Gianluca, il figlio, e i mariti delle figlie che non vogliono essere da meno». Dunque, c’è tempo... Pesatori, 65 anni, inizia a giocare all’oratorio di Livraga, ma ben presto passa all’Inter dove rimane sino alla Primavera, vincendo anche uno scudetto: «Ha fatto tutto il prete di allora, io non sapevo niente. Certo, l’Inter è stata la mia fortuna, perché ho passato cinque anni bellissimi. Ho visto per la prima volta le montagne andando in ritiro e anche sotto l’aspetto educativo è stato importante per me. Per non parlare della finale di Salsomaggiore con la vittoria sul Torino nella squadra allenata da Gianni Invernizzi ed Enea Masiero». L’Inter lo dà alla Casertana in B, ma cominciano i guai fisici: «Faccio subito il menisco e perdo tre mesi. Poi faccio fatica a inserirmi con la squadra che deve salvarsi e non c’è spazio per la mia fantasia. Poi mi sposo e col primo figlio cominciano i dubbi». In effetti va a Imola in C, ma poi non se la sente di seguire il mister che lo vuole a Trapani. Decide allora che è meglio pensare al lavoro («Per qualche mese sono andato anche in fornace con mio padre») e arriva il posto sicuro in banca che lo “dirotta” tra i Dilettanti. Romanese e Corbetta sono le tappe più importanti anche se le ginocchia non gli danno tregua.La soluzione è il corso allenatori, anche perché il ruolo lo appassiona. Gioca e allena a Brembio, prima del salto a Corbetta in Promozione e della consacrazione a Corsico, dove rimane cinque anni e pensa anche di fare il professionista, lasciando la banca. Ma dura poco: l’arrivo del terzo figlio e qualche problema di salute gli consigliano ancora la garanzia del posto sicuro. Comincia allora la sua avventura a San Colombano, con l’intervallo di San Rocco, sempre in Eccellenza: sui colli arriva anche la promozione in Serie D e la salvezza l’anno successivo. Va a Casteggio, poi torna a Brembio, risale in Eccellenza con Castellana e Tribiano, «dove però la squadra non fa per me», e tre anni a Cavenago. Ma il cuore non lo lascia in pace, va in pensione e arriva la chiamata del Sancolombano per il suo settore giovanile. «Era una promessa fatta a Tino Cornaggia, che non se l’è dimenticata. Del resto lì sono stato bene, l’ambiente è quello giusto per lavorare con un occhio di riguardo ai giovani e infatti rimango sette anni coi Giovanissimi. È la categoria che prediligo perché posso plasmare ragazzi magari un po’ acerbi, che vanno educati alla pratica agonistica. E infatti qualche elemento arriva anche in prima squadra».Ma anche i rapporti migliori si interrompono e passa al Fissiraga come direttore tecnico dell’attività agonistica. Ma la mancanza di un tecnico lo riporta in campo con gli Allievi, quello che in fondo preferisce. Col Fissiraga che cresce: «In sei anni sono arrivati a 300 ragazzi, diventando Scuola calcio qualificata e Centro tecnico Milan. E la collaborazione col Milan è importante perché si lavora a diretto contatto con i tecnici rossoneri, che tengono sotto osservazioni tutti i ragazzi, soprattutto i più piccoli. Qui sto bene, perché siamo un gruppo di amici e ho la stima del presidente. Oltretutto lavora anche mio figlio. E finché mi reggono le gambe e la testa vado avanti». Il lavoro del resto non manca: «Non sono mai stato un grande tattico, anche se preferisco giocare col fantasista dietro le punte. Quello che voglio è l’organizzazione di squadra, che richiede molta applicazione sul campo, soprattutto a questi livelli. Ma è un modulo che ho plasmato col tempo e penso di saperlo insegnare bene». E poi c’è il rapporto con i genitori: «Questo è un aspetto delicato della nostra attività, perché si viene a contatto con le problematiche delle famiglie, spesso molto complesse, che possono incidere sul rendimento del ragazzo. E naturalmente c’è il genitore attento e quello che invece ha altri problemi. E i problemi si diversificano anche a seconda dell’età, con l’allenatore che deve saper intervenire al momento giusto». E per Pesatori è poi importante educare all’agonismo: «Non è vero che non conta vincere, perché in effetti soprattutto dai Giovanissimi si va in campo per i tre punti: bisogna però saper gestire la vittoria e la sconfitta, eliminando per esempio certi isterismi quando si segna un gol ed esultando tutti insieme per dare il giusto senso ai successi». Comunque Pesatori, anche vicepresidente della neonata sezione Aiac del Lodigiano, rileva segnali incoraggianti dai tanti giovani tecnici che incominciano la loro attività: «Noto tanto entusiasmo, anche se l’importante è non disperderlo. Vanno messi nelle condizioni di operare al meglio, soprattutto con delle strutture adeguate. Invece da noi ci sono spazi ancora troppo ridotti, che impediscono di lavorare come si dovrebbe. E in questo senso è auspicabile che anche da noi si costruiscano campi in sintetico, dove anche i ragazzi possano apprendere ed esprimersi al meglio».

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