
Allora... Vado. Sì vada, ma non in tribuna stampa. Vado è la voce di un verbo ma è anche il nome di una cittadina (o un paesone, a seconda di come la si guardi): Vado Ligure. Poco più di ottomila abitanti ma soprattutto una tradizione calcistica famosa: chiunque abbia consultato un almanacco del calcio sa che il Vado, fondato nel 1913, è stato il primo vincitore della Coppa Italia nel 1922. Ebbene, proprio a Vado Ligure succede qualcosa che il nostro collaboratore Aldo Negri non si sarebbe mai aspettato: in trasferta per seguire la partita del Sancolombano, domenica 15 marzo allo stadio “Chittolina” dove era stato regolarmente accreditato dal “Cittadino” non ha potuto accedere alla tribuna stampa, benché ci fossero posti a disposizione. Un divieto assurdo, che lo ha costretto a lavorare in condizioni a dir poco disagiate anche per le cattive condizioni meteorologiche, motivato da un addetto della società padrona di casa con non meglio precisati inconvenienti capitati in passato con giornalisti ospiti. Il “Cittadino” con amarezza ha segnalato l’accaduto alla Lega nazionale dilettanti, organizzatrice del campionato di Serie D, nella speranza che episodi analoghi non si ripetano nei confronti di altri colleghi, e qui di seguito riportiamo la “gustosa” lettera inviata dal sempre corretto Aldo Negri, a cui esprimiamo pubblicamente la nostra vicinanza, al presidente della Lnd Felice Belloli.
“Buongiorno presidente.
Mi chiamo Aldo Negri, sono iscritto all’Ordine dei Giornalisti con tessera numero 134724, il mio codice fiscale è NGRLDA83D27E648M, sono incensurato e la mia fedina penale è pulita. Certo, le confesso che a volte dico delle parolacce, ma quasi mai ad alta voce. Sono discreto per natura, forse a volte anche troppo. E in genere cerco di tenere una condotta il più possibile rispondente alle linee guida che l’ordine professionale impone. E infatti da che scrivo sul quotidiano “il Cittadino” di Lodi non ho mai avuto problemi di sorta.
Mi occupo prevalentemente di sport, e questo mi ha portato negli anni a visitare parecchi impianti sportivi: dai piccoli campetti di periferia della Terza Categoria fino agli stadi di Serie A. Voglio raccontarle quel che mi è successo domenica. Credo possa essere un buono spunto per provare a migliorare tutto il movimento e magari mettere in atto azioni mirate per dare nuovo impulso al calcio dei dilettanti.
Come accade ogni due settimane da almeno cinque o sei anni, mi reco in trasferta per seguire il Sancolombano. Campionato di Serie D, Girone A. Si gioca la 22esima giornata tra i padroni di casa del Vado Ligure e appunto i collinari di San Colombano al Lambro.
Parto da casa con discreto anticipo, mi fermo in zona per pranzare e di buon ora mi dirigo allo stadio per prendere posizione e sistemare tutto l’armamentario in vista dell’inizio della partita. Qualche giorno fa ero tutto contento per via della trasferta al mare. Ma arrivato sul posto trovo 5 gradi, pioggia e vento gelido. In questi casi l’esperienza mi porta subito a cercare con gli occhi la tribuna stampa chiusa e riparata: wow, fortunatamente allo stadio “Chittolina” di Vado Ligure c’è. Provo ad entrare ma è chiusa, allora aspetto. Fino a che si avvicina il responsabile della struttura, al quale chiedo gentilmente di poter accedere per seguire la partita, ma la riposta è: «La tribuna stampa è riservata solo ai giornalisti locali. Abbiamo avuto problemi con gli ospiti qualche tempo fa e da allora non li facciamo più entrare. Per colpa di uno pagano tutti». Convinto si trattasse di uno scherzo, ho presentato le mie rimostranze, ma con amaro stupore ho realizzato che di scherzoso non c’era proprio nulla (oltre a me, è stato vietato l’accesso anche all’addetta stampa del Sancolombano Rosy Baiamonte).
Lo ammetto, lì per lì qualche parolaccia la penso. Ma la partita sta iniziando e non posso perdere tempo. Per cui mi siedo due file più in basso, appoggio il computer gelido sulle gambe, la macchina fotografica sul seggiolino a sinistra, il cronometro sul seggiolino a destra e il foglio delle formazioni lo incastro tra gambe e computer lasciando spuntare di lato i due “undici”, di modo da riuscire di tanto in tanto a sbirciare i nomi della formazione ligure (opere di alta ingegneria). Di tanto in tanto mi giro a guardare i miei “colleghi” proprio dietro di me, al caldo e riparati dalle intemperie, seduti e con un tavolo sul quale appoggiare gli strumenti di lavoro.
Ora: ho patito del gran freddo, lavorato in condizioni precarie, rischiato il congelamento delle dita, ma ho portato a casa come sempre il mio lavoro. Sì, forse sto covando un raffreddore, ma penso che me la caverò. Insomma non è successo niente di trascendentale, ma è stato davvero fastidioso.
Io non lo so che problemi abbia la società Vado con i giornalisti ospiti. Io so solo che ero lì per cercare di fare al meglio il mio lavoro e sono sicuro al cento per cento che non avrei fatto del male a nessuno. È un continuo lamentarsi che i campionati minori hanno poca visibilità, che si parla sempre e solo dei professionisti, che il calcio di oggi è uno schifo e che non se ne può più. Che sugli spalti si tengono comportamenti disdicevoli, che a nessuno interessa più godersi in santa pace un po’ di sport. Addirittura il motto della Lega nazionale dilettanti è “Il cuore del calcio”. Ecco il mio di cuore domenica era un po’ più freddo del solito, ma non per colpa del clima. E per un momento mi è anche venuta la voglia di piantare lì tutto e tornarmene a casa.
Tutto ciò per dire: diamoci una regolata. Perché il calcio è anche incontro, è dialogo, è nuovi legami. Solo per citarne alcuni…ho conosciuto persone splendide e cordiali che ne so a Rapallo, a Voghera, a Lavagna, ad Aosta. E ci tornerò volentieri. E continuerò a parlare, magari anche discutere, con i tanti colleghi locali che ho incontrato in questi anni. Alcuni dei quali sento abitualmente. Perché “il cuore del calcio” non dev’essere solo uno slogan ma una pratica abituale da seguire in coro: istituzioni, società, giocatori e ovviamente anche giornalisti.
Mi perdoni lo sfogo presidente, ma non avevo proprio voglia di lasciarmi scivolare addosso questa cosa. E poi ha visto? Non ho usato nemmeno le parolacce! Poi tanto male non sono.
A presto, buon lavoro,
Aldo Negri”
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