«Era il contabile della malavita»: la Dda chiede il processo per un commercialista di Peschiera
Indagine della direzione antimafia su diversi affiliati del clan Arena di Isola Capo Rizzuto
Marcello G., di Peschiera Borromeo, è accusato di essere uno dei commercialisti di fiducia del clan Arena di Isola Capo Rizzuto, la cosca calabrese che ha fatto affari d’oro con il business delle false fatture. Per lui e altri 67 persone, tra imprenditori e commercialisti, è stata chiesto dalla Direzione distrettuale antimafia di Brescia il rinvio a giudizio, nell’ambito dell’inchiesta che un anno fa ha portato in manette 33 persone per una truffa da oltre 20 milioni di euro.
L’udienza preliminare si terrà il 16 ottobre davanti alla gup del Tribunale bresciano, Giulia Costantino. Dagli incartamenti prodotti emergerebbe l’esistenza di un’associazione a delinquere, che ha operato tra il 2015 e il 2021, creando una rete di società cartiere, intestate a prestanome e a imprenditori “in malafede”, sparse tra il Sud e il Nord. Il capo della banda era Martino Tarasi, nipote del defunto boss Nicola Arena, che faceva da maestro di frodi fiscali ai suoi sodali del Nord. La guardia di finanza e i carabinieri hanno intercettato le conversazioni e le chat via WhatsApp dei soggetti coinvolti, che dimostrano – secondo l’accusa - i rapporti corrotti tra imprenditori, commercialisti e agenzia delle entrate. Tra le chat spunta quella tra Lia Alina G., funzionaria dell’Agenzia delle Entrate Milano 5, e Marcello G., che si occupava dei contatti con l’ente pubblico. La donna si prestava a fare da corriere delle pratiche di attivazione e revoca dei cassetti fiscali e della fatturazione elettronica, evitando le file allo sportello. In cambio riceveva 10 o 15 euro per ogni pratica svolta, per una mazzetta di almeno 6.730 euro. Con l’operazione scattata il 5 settembre 2022 e 33 arresti eseguiti dai carabinieri e dai finanzieri, la pm Claudia Moregola si disse convinta di aver smantellato la presunta rete criminale capeggiata da Martino Tarasi. Il quale, per gli inquirenti, avrebbe creato un gruppo criminale per abbattere i costi delle imposte mediante il reimpiego di capitali illeciti riconducibili al clan calabrese in almeno 7 società cartiere, intestate a prestanome e ad imprenditori, e con sedi dislocate tra il Sud e il Nord. Una ragnatela, che si è allargata fino a comprendere 68 persone, che hanno dato vita un meccanismo ben collaudato di falsa fatturazione. Ma ora dovranno fare i conti con la giustizia, che li aspetta il 16 ottobre davanti alla gup del Tribunale di Brescia, Giulia Costantino.
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