«Federico: il comune vuole giustizia»
Caso Barakat, il sindaco chiede chiarezza
n «La giustizia è troppo lenta, a due anni da quella tragedia è inaccettabile che le indagini siano ancora al punto di partenza. Anche noi vogliamo che sia fatta chiarezza». A pochi giorni dall’intervista rilasciata dalla signora Antonella Penati, mamma del piccolo Federico Barakat, trucidato a otto anni dal padre il 25 febbraio 2009 all’interno del centro socio sanitario di via Sergnano, anche il sindaco di San Donato Mario Dompé e l’assessore ai servizi sociali Marco Zampieri chiedono che venga fatta giustizia e che ci sia una svolta nelle indagini. Ben venga quindi “l’avocazione” del procedimento chiesta dall’avvocato della donna, Federico Sinicato di Milano, alla procura generale, se questo servirà a far procedere l’indagine e ad arrivare alla verità. «Ma allo stesso tempo - aggiunge l’assessore - non è nemmeno giusto imputare la responsabilità di quanto accaduto a una, due o tre persone. Nessuno può essere responsabile per tutti, in questo caso è tutto il sistema che non ha funzionato (tribunale, carabinieri, comune) proprio per l’estrema gravità dei fatti».
La mamma del piccolo, lo ricordiamo, esasperata dalla lentezza delle indagini (il procedimento è ancora contro ignoti), aveva puntato il dito nei giorni scorsi contro i servizi sociali del comune, sostenendo che nulla era stato fatto per evitare la tragedia nonostante le sue continue segnalazioni sulla pericolosità del suo ex compagno. Un punto sul quale ora interviene anche l’attuale dirigente del servizio, Nadia Brescianini, che all’epoca dei fatti ricopriva un altro ruolo: pur rispettando e capendo lo sfogo della donna, dettato dal dolore, vuole difendere il lavoro svolto dagli operatori e negare che ci fossero segnali “premonitori” di quanto stava per accadere. «Prima del 25 febbraio di due anni fa non c’era stato nessun elemento che potesse far intuire la pericolosità del padre di Federico - spiega -. Tant’è vero che si stava valutando la possibilità di mandare padre e figlio in gita da soli. La tragedia è stata assolutamente imprevedibile. Noi eravamo “in mezzo” ai due coniugi - aggiunge -: da una parte la madre e le sue paure, dall’altra il padre e il suo diritto di vedere il figlio. Erano incontri disposti dal tribunale dei minorenni, svolti secondo le indicazioni date da quest’ultimo, che noi non potevamo che eseguire». Un aspetto, però, la dirigente vuole chiarirlo: non si trattava di incontri “protetti”. «Questi vanno svolti in spazi neutri e devono essere sorvegliati e controllati. A volte si arriva anche a mettere un vetro o uno specchio fra le due parti, mentre l’adulto non deve sapere assolutamente dove abiti il figlio. Quelli fra Federico e il padre, invece, avvenivano in un luogo pubblico, aperto a tutti».
La mattina del 25 febbraio 2009, poche ore prima della tragedia, la signora Penati era andata in municipio per parlare proprio con l’assessore Zampieri e chiedere il suo aiuto. Un incontro che l’assessore ricorda molto bene. «L’ho trovata preoccupata per la situazione - racconta -. Io non sapevo nulla del suo caso, così lei ha parlato a lungo raccontandomi tutta la sua storia. Mi ha detto delle segnalazioni fatte ai carabinieri, delle “improvvisate” dell’ex compagno sotto casa sua e davanti alla scuola del figlio, delle minacce. Aveva la sensazione che nessuno la ascoltasse. Era spaventata per se stessa - prosegue -, si sentiva molestata, e aveva paura che l’uomo potesse portare via il figlio, in Egitto; ma forse non immaginava che potesse fare del male anche a lui. Alla fine non mi ha fatto una richiesta specifica, non voleva che impedissi gli incontri, mi ha chiesto solo di occuparmi del caso». Solo poche ore dopo, però, Mohamed Barakat si è presentato in via Sergnano armato di pistola e coltello e, appena sceso dall’ascensore, ha massacrato il figlio senza che nessuno potesse intervenire per fermarlo e salvare il piccolo. Un’epilogo spaventoso per questa vicenda, che nessuno aveva saputo prevedere.
Davide Cagnola
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