«Gazzera, si poteva spendere meno»

Il Comune però è pronto a contestare l’ipotesi del perito, intanto i proprietari dei campi negano responsabilità nello scempio ambientale

Per la bonifica delle 110mila tonnellate di melme acide e terre decoloranti dell'industria petrolifera dai campi tra la cascina Gazzera di Cerro e il Lambro si sarebbe potuto spendere meno, utilizzando procedimenti diversi: è il parere depositato al tribunale civile di Lodi dal consulente tecnico nominato dal giudice Pierantonio Rossetti nella causa che dovrà decidere se i 4 proprietari dei terreni siano obbligati a pagare o no, e in quale misura. L’importo in gioco è di circa 60 milioni di euro, trattandosi di un sito di interesse nazionale (quindi di una delle aree più inquinate d'Italia) e i lavori, eseguiti dal gruppo Grossi, dovrebbero concludersi entro l’anno. La bonifica, in tutto oltre 50mila metri quadri in due aree, era stata ordinata dal Comune e quindi, mancando l’intervento diretto dei privati, appaltata dallo stesso ente pubblico, e le risorse sono state anticipate dalla Regione e dallo Stato ma, come ricorda l'avvocato Caterina Solimini di Milano, uno dei legali incaricati dal Comune di Cerro al Lambro riguardo alla vicenda, «c’è l’obbligo giuridico del recupero della somma».

I terreni sono già sotto sequestro conservativo ma rischiano di non essere una garanzia sufficiente. I quattro attuali proprietari, in realtà, non hanno scaricato le melme, né lo hanno mai permesso. L’area infatti l'hanno ereditata dai genitori: nel 1961 l'allora proprietario aveva affittato i campi alla Icep Spa (poi fallita) e risulta in atti ufficiali che qui abbia scaricato camion di residui chimici anche la raffineria Sparvol. Inoltre alcuni dei proprietari si erano poi attivati per ricoprire alcuni dei terreni contaminati con terra di riporto proveniente da sbancamenti in zone adiacenti alla Viscolube. «Quando c’era quel contratto di affitto - ricorda l’avvocato Vincenzo Negri di Lodi, che difende i proprietari dei campi della Gazzera - non c’era una norma che vietava questo tipo di scarico e tutto avveniva alla luce del sole. L’obbligo di bonifica è arrivato per legge solo più tardi, anche dopo che i terreni erano passati in eredità».

Nel 1986 i tecnici di Comune, Provincia e autorità sanitarie sollevano per primi il caso della palude chimica e il Comune formalizza ben presto il primo ordine di bonifica. La pretura di Lodi assolve dalla responsabilità penale per “discarica abusiva” i proprietari, che quindi vincono anche al Tar, in primo grado: non spetta a loro pagare. Ma il Consiglio di Stato, andando controcorrente rispetto alla giurisprudenza precedente, ribalta il verdetto e nel 2009 li obbliga a pagare: dato che c’era un contratto di affitto di quei terreni, non sono da considerare «incolpevoli».

Sulla base di questa sentenza si innesca l'attuale causa civile in tribunale a Lodi, passata ora al giudice Arianna D’Addabbo che ha fissato per metà marzo l'udienza per esaminare la consulenza tecnica e le osservazioni delle parti. «Il geologo che è consulente del Comune in questo processo non condivide le conclusioni del consulente tecnico del tribunale - conclude l’avvocato Solimini -: le modalità alternative di bonifica da lui indicate avrebbero rischiato di compromettere le falde acquifere. E già nel 2000, quando vi fu l’appalto, il Tar confermò le scelte tecniche adottate».

«Una condanna avrebbe conseguenze economiche inimmaginabili per i privati- si limita a chiarire l’avvocato Negri - e non riteniamo giusto che chi ha ereditato un terreno inquinato da altri sia obbligato a pagare». In realtà i proprietari avevano tentato di salvare la situazione nel 1990, proponendo una cava nel sito inquinato in cambio della sua bonifica, ma l'operazione non andò in porto anche perché le garanzie prestate dai cavatori erano state giudicate insufficienti.

In altri casi di “bombe ecologiche” nel Lodigiano, come all’ex Ra.Bo., le aree erano di proprietà di ditte fallite e quindi la battaglia per il recupero delle somme era persa in partenza. In questo caso, invece, c’è chi rischia di pagare. Ma non sono gli inquinatori, petrolieri che sono usciti di scena, diventando insolvibili, al momento giusto.

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