Giovane di San Giuliano investì un ciclista e il papà cercò di scagionarlo: doppia condanna
Il genitore denunciò falsamente che l’auto era stata appena rubata, l’incidente fu a Vizzolo
Diventano definitive le condanne per padre e figlio di San Giuliano Milanese, accusati, il genitore, di aver presentato una falsa denuncia di furto dell’auto della moglie, e il figlio di aver investito con la vettura un marocchino all’epoca trentenne, Jaafar Bassiri, alle 23.30 di sabato 24 agosto 2013 sul rettilineo della cascina Bernarda a Vizzolo Predabissi. Per il padre, oggi 62enne, la condanna del tribunale di Lodi, ora confermata dalla Cassazione, è di un anno di reclusione per simulazione di reato, per il figlio, oggi 31enne, di due anni. Per aver omesso all’obbligo di fermarsi dopo il coinvolgimento in un incidente con feriti e a quello di prestare soccorso. Ma il tribunale di Lodi, anche alla luce della consulenza della Procura e delle diverse possibili conclusioni indicate dalla difesa sulla dinamica, aveva assolto il giovane automobilista dall’ipotesi più grave, di omicidio stradale. La bicicletta non aveva dispositivi di illuminazione o riflettenti, l’auto si ritiene viaggiasse a 55 chilometri orari, quindi entro il limite di 60, e alcuni particolari come il manubrio piegato non possono far escludere che il ciclista, abbandonato sull’asfalto con la testa rotta e deceduto dopo alcune ore in ospedale a Milano, invece di marciare correttamente parallelo al margine destro della carreggiata avesse improvvisamente svoltato per attraversare la carreggiata, finendo per “tagliare la strada” alla Lancia Y guidata dal giovane.
Quella sera un forte temporale aveva fatto saltare l’illuminazione pubblica in quel tratto di via Emilia. Secondo quanto ricostruito da Procura e tribunale di Lodi all’esito delle indagini dei carabinieri della compagnia di San Donato Milanese, il giovane automobilista avrebbe travolto il marocchino, scagliandolo a una quindicina di metri di distanza. Si sarebbe quindi fermato, avrebbe raccolto dall’asfalto un pezzo di paraurti e sarebbe ripartito verso San Zenone al Lambro, dove già la mattina dopo una residente della cascina Cassinette aveva notato l’utilitaria ammaccata e il lunedì l’avevano recuperata i carabinieri, trovando tracce di sangue, di materia cerebrale, e all’interno, uno straccio parzialmente insanguinato. Ma nell’abitacolo non c’era nessuna impronta digitale, come se fosse stato ripulito. I tabulati telefonici avevano collocato il giovane sul luogo dell’incidente e poco dopo su quello dell’abbandono della vettura. E domenica mattina alle 6.30 suo padre era andato dai carabinieri a denunciare - secondo la giustizia falsamente - che l’avevano rubata a Milano. Ma dal posizionamento del cellulare suo e della moglie era emerso che a Milano non ci erano andati. La fuga dopo l’incidente aveva anche ritardato i tempi del risarcimento assicurativo ai parenti della vittima. Per padre e figlio, che erano incensurati, c’è la sospensione condizionale della pena.
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