Ida Ortolani con i suoi 110 anni è la donna più anziana di Lombardia: l’abbiamo incontrata nella sua casa di San Donato VIDEO

La donna vive con il figlio e la nuora a Metanopoli, è rimasta vedova a 38 anni e ha cresciuto 4 figli

È di San Donato la decana di Lombardia, 13esima per anzianità in Italia. Ida Ortolani, nata il 4 settembre 1912, ad Abington in Pennsylvania, ha 110 anni e 177 giorni. Siamo andati a trovarla, a Metanopoli, dove vive con il figlio Gianpaolo de Fanis e la nuora Antonella Mazzara. Dieci anni fa ha perso la vista a causa di un glaucoma in un occhio e di una cataratta nell’altro, che non si poteva operare. Anche l’udito non è più quello di una volta e l’attività intellettuale è stata danneggiata durante la pandemia. Eppure cammina, sorreggendosi agli altri, mangia da sola e se le parli forte nell’orecchio risponde e sorride.

«Sono nata in America - racconta -, mio papà lavorava lì. Sono nati 3 figli. Nel ’24 poi siamo ritornati in Italia, sbarcando a Napoli - aggiunge -, qui sono nati altri 4 fratelli. Così è la vita. Ho conosciuto mio marito e mi sono sposata. Lui faceva il poliziotto. Stavamo all’Aquila. Facevo la scuola di taglio. Venivano le ragazze, imparavano a tagliare e a cucire i vestiti. Pagavano la scuola portando delle mandorle, al posto dei soldi. Sono rimasta vedova giovane, mio marito aveva 38 anni. Sono tornata a Pescara e ho aperto un laboratorio di sartoria. Avevo 20 lavoranti. Ho guadagnato bene io. Da Pescara, poi, nel ’77 sono venuta a San Donato». Qua la signora Ida è diventata subito la coordinatrice del gruppo della terza età, a Santa Barbara. «Facevamo le gite, i pellegrinaggi organizzati dalla parrocchia. Non mancavamo mai», racconta.

La signora Ortolani 4 figli (2 non ci sono più) e 9 nipoti, che è diventata anche tris nonna fa un bilancio della sua vita: «Quando sto con i miei figli sono contenta - dice -. Loro mi rispettano molto».

SAN DONATO Ida Ortolani, la donna più anziana di Lombardia. Video di Cristina Vercellone

Il signor Gianpaolo si commuove. «Io non dovrei andare a riposare?», chiede. «Sono solo le 11 - le dice il figlio, paziente -, prima devi mangiare, poi alle 2 vai a riposare». «Lo chiede in continuazione - precisa de Fanis - e quando è a letto chiede se si deve alzare. È rimasta vedova che aveva 38 anni, mio papà era stato operato a Roma per un tumore al cervello e quando è tornato a casa dall’ospedale, i suoi compagni della questura di Pescara l’hanno portato in braccio; dopo alcuni mesi è morto. Mia mamma aveva questa sartoria con una clientela molto importante, guadagnava molto bene: con la sola pensione di reversibilità che prendeva dallo Stato, bassa perché mio papà era molto giovane, non ce l’avremmo fatta. Mamma, invece, è riuscita a far studiare tutti, abbiamo fatto le superiori, l’università. Non ci è mai mancato nulla». Quando de Fanis è stato trasferito per lavoro a Milano, la signora Ida ha chiesto di andare ad abitare con lui e la sua famiglia. «Non ce la faceva più a stare da sola - racconta de Fanis -. Era abituata a una famiglia patriarcale. In casa sua ogni volta che un figlio si sposava il papà aggiungeva una stanza alla casa. È venuta con noi e visto che mia moglie faceva la maestra, prima di lavorare in Comune, è stata mamma a crescere i nostri figli. È da un anno che ha perso un po’ di lucidità. Prima chiamava sempre Emanuele, il nostro figlio minore, anche durante il lavoro; aveva il cellulare, telefonava alle amiche, si ricordava i numeri a memoria. Ad ogni numero sulla tastiera corrispondeva un contatto. L’anno scorso siamo stati per le vacanze pasquali nella nostra casa sul lago d’Orta: una casa dell’800, con 3 piani, le scale. È stato in quel momento che ha incominciato a essere meno presente. L’abbiamo portata subito a casa. Ancora adesso, dopo più di un anno, chiede se deve fare i gradini, se deve andare giù, come se fosse in quella casa. Anche se ha una salute di ferro, non è più tanto presente a se stessa. La pandemia non ha aiutato. La domenica qui si faceva sempre il pranzo di famiglia. Era un’occasione per stare un paio d’ore in compagnia. Il virus ha fermato quasi tutto, anche se i figli qualche volta, contro la mia volontà, venivano a farle un saluto. Questo ha determinato un isolamento maggiore rispetto a quello che stava vivendo nella sua testa». Anche le amiche e le sue lavoranti la chiamavano al telefono. Facevano delle belle chiacchierate. Adesso le sue amiche se ne sono andate e l’isolamento pandemico le ha fatto perdere i contatti». Viene una signora a portarle la comunione, ogni tanto si ricorda persino le preghiere. «Non ci aspettavamo questo decadimento - aggiunge la nuora - non eravamo abituati. In genere l’Alzheimer viene molto prima, lei, invece, fino a 108 anni era lucidissima e raccontava la sua vita ai nipoti. Adesso è dura da accettare. Pur senza vista metteva in ordine i cassetti ricordandosi come erano messe le cose. Riconosceva al tatto gli abiti, diceva di che colore erano e come erano fatti, riusciva persino a fare gli orli». Ogni tanto viene il parroco a trovarla e ai compleanni hanno festeggiato con lei i sindaci, Francesco Squeri, amico di famiglia e Andrea Checchi. Il figlio sfoglia l’album dei ricordi, con le foto dei compleanni, quella del matrimonio e i momenti di festa. E anche adesso, quando ritrova la lucidità, la signora Ida sfoggia la sua simpatia: «Sono contenta che siate venuti a trovarmi - dice tirando fuori la mano dallo scialle. La stringe forte -. Fatevi vedere ogni tanto».

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