Morì d’infarto in ditta, tutti assolti

Si chiude il caso di Dino Molteni, stroncato a 52 anni mentre entrava in un’azienda di cosmetici di San Giuliano 7 anni fa: la moglie aveva fatto un esposto

Un processo iniziato solamente cinque anni dopo la morte della parte offesa, tanti «non ricordo» e soprattutto l'ipotesi di reato più calzante con la ricostruzione dei fatti emersa dalle indagini, quella di “mobbing”, introdotta solamente nel 2009, e quindi non applicabile al caso: anche per questo il tribunale di Lodi non ha potuto ravvisare responsabilità penali a carico delle quattro persone finite a processo per “maltrattamento di persone affidate per l’esercizio di una professione” in relazione alla morte di Dino Molteni. Cinquantadue anni, di Burago Molgora (Monza), si era accasciato al volante della sua auto alle 7 del mattino del 2 marzo 2006. Aveva appena parcheggiato davanti a una ditta di cosmetici di San Giuliano Milanese, di lì a pochi minuti avrebbe dovuto iniziare il suo turno, ma l'ha colto un infarto. A casa ad attenderlo la moglie Stella Gianni, costituita poi parte civile, e il loro bimbo di un anno.

«Molteni era già stato un caporeparto in passato», ricorda l'avvocato di parte civile Gabriella Gaetani di Vimercate. Era in una ditta di verniciature in Brianza, poi aveva lasciato e si era dovuto trovare un lavoro come portiere in un hotel di Monza. Qui, in occasione di un convegno, conosce uno dei titolari della ditta di San Giuliano. Gli racconta la sua storia e l'imprenditore, che doveva sostituire il caporeparto del confezionamento ormai prossimo alla pensione, lo chiama a lavorare da lui a San Giuliano. Così Molteni entra nel reparto confezionamento con il camice bianco del capo. Ma a casa racconta che le cose non vanno così bene come si aspettava: parla di discriminazioni, antipatie, frasi offensive, e di un senso di ansia che lo prende quando volta l'angolo per andare al lavoro, ogni giorno. Quando il marito muore d’infarto, la moglie si ricorda di quell’angoscia e recapita un esposto alla procura: «Un’istanza di giustizia», spiega l’avvocato. Gli inquirenti escludono che sia sostenibile in giudizio l'ipotesi di omicidio colposo e trovano nel codice l'articolo 572, «che però nell'ambito del lavoro ha avuto finora applicazioni sempre molto restrittive, e che riguarda responsabilità del singolo», constata l’avvocato Gaetani.

A giudizio finiscono uno dei titolari, L.C., oggi 50 anni, di Cornegliano Laudense, e i colleghi L.S., 71 anni, di Lodi (il caporeparto uscente), T.B., 37 anni, di San Donato Milanese e M.C., 34, di Locate Triulzi. Nel processo emerge che prima di morire Molteni era stato demansionato, passando dalla tuta bianca del capo a quella blu dell'operaio, due lavoratori testimoniano al giudice che «dicevano a Molteni sei un inetto, un pasticcione», e poi ancora: «Molteni mi raccontava che altri facevano cose sbagliate in reparto e poi davano la colpa a lui». Tanti indizi, diverse ricostruzioni confutate dall’avvocato difensore Fabrizio Mantovani di Vigevano, e, nonostante i due anni chiesti dal pm all'esito del processo, il giudice Angela Scalise ha ritenuto che siano mancate prove solide, e nel dubbio ha assolto.

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