Muore d’infarto, colleghi sotto accusa

Per il pm soffriva d’ansia perché maltrattato sul lavoro

Quattro colleghi di un 52enne che era stato fulminato da un infarto alle 7 del mattino mentre stava entrando in fabbrica sono finiti sotto processo a Lodi per concorso in omicidio colposo e di “maltrattamento di persona a loro affidata per l’esercizio di una professione”: se ritenuti colpevoli, rischiano dodici anni di carcere.

L'uomo, Dino Molteni di Burago Molgora (Monza) si era accasciato vicino alla propria auto all'alba del 2 marzo del 2006. A soccorrerlo e a chiamare il “118”, che si era dovuto arrendere all'arresto cardiaco, erano stati alcuni colleghi, uno dei quali è poi comunque finito a processo.

La moglie aveva subito presentato un esposto all'autorità giudiziaria, dato che Molteni, al lavoro in via Cadore a San Giuliano da un anno e un mese, da tempo lamentava di soffrire di attacchi d’ansia al momento di entrare in ditta e, ha ricordato la vedova in tribunale, «non aveva mai sofferto di cuore e non fumava». Il fascicolo d’inchiesta era stato però aperto solamente all’inizio del 2008 dal pm Daria Monsurrò, e, dopo una richiesta di archiviazione poi respinta dal gip, il processo si è aperto solo nei mesi scorsi. Solo in questi giorni però il dibattimento è entrato nel vivo con l'acquisizione delle testimonianze dell’accusa. Diversi colleghi, anche dipendenti di una cooperativa che operava nella stessa azienda, hanno riferito che Molteni percepiva un clima di ostilità. «Era stato assunto come responsabile di reparto e doveva tra l’altro spuntare il passaggio dei bancali per la fase successiva - ha testimoniato una collega - ma capitava che, mentre lui era assente, qualcun altro trasferisse il bancale senza segnarlo sul registro, e poi venisse data a lui la colpa della dimenticanza». Forse per questo o per altri fatti finora non emersi, il titolare aveva demansionato il 52enne, che come capo lavorava con il camice bianco, al ruolo di operaio, con il camice blu, e questo episodio avrebbe cominciato a farlo soffrire.

La moglie, Stella Gianni, si è costituita parte civile con l'avvocato Gabriella Gaetani di Vimercate, i quattro imputati sono difesi dall'avvocato Fabrizio Mantovani di Vigevano. Che ha evidenziato tra l’altro che il 52enne era assunto come operaio, e non come capo.

«Aveva sempre lavorato come capo reparto in un’azienda di verniciatura in Brianza - ha ricordato la donna - poi aveva lasciato ed era andato a lavorare come portiere di notte a Monza, in un hotel. Proprio qui aveva incontrato e fatto amicizia con uno dei titolari della ditta di San Giuliano, che l’aveva chiamato a lavorare con sé come responsabile del confezionamento». «Mi diceva che quando voltava l’angolo per venire in ditta si sentiva addosso una sensazione di angoscia», ha testimoniato un’altra collega. «Gli dicevano “sei un pasticcione, sei un inetto, non capisci niente”», hanno ricordato altri due testimoni dell'accusa. E un’altra: «Diceva che i colleghi facevano cose e poi davano la colpa a lui».

Imputati per questa vicenda sono L.S., oggi 70 anni, di Lodi, che avrebbe dovuto insegnare al nuovo “capo” il suo lavoro, T.B., 36 anni, di San Donato Milanese, M.C., 33 anni, di Locate Triulzi, e L.C., 49 anni, di Cornegliano Laudense.

Molteni, quando è morto, oltre alla moglie ha lasciato un bimbo di un anno. Il “mobbing” non viene contestato perché il reato è stato introdotto nel codice solo alcuni anni dopo questo drammatico episodio.

Carlo Catena

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