«Non un giorno di pena da scontare, nemmeno ai servizi sociali: ma che esempio può essere per la nostra società?». È il grido di dolore di Cristina Omini, la mamma di Sebastiano Pizzelli, di San Giuliano Milanese, lo studente quattordicenne falciato sulle strisce pedonali poco dopo le 7 del mattino del 12 ottobre 2011, mentre stava andando a prendere l’autobus che lo avrebbe portato a scuola, al liceo Benini di Melegnano. A travolgerlo al volante di un’utilitaria sulla via Emilia, in corrispondenza dell’incrocio per via Risorgimento, fermandosi solamente alcune centinaia di metri dopo, era stato un neopatentato di San Donato Milanese, che stava andando al lavoro e che era anche risultato positivo all’assunzione di derivati della canapa indiana.
Il giudizio per rito abbreviato ha escluso però che fosse sotto l’effetto si sostanze al momento dell’impatto e la condanna era stata di 20 mesi di reclusione, con sospensione condizionale della pena e sospensione per due anni della patente di guida. La colpa del giovane automobilista è stata riconosciuta dal giudice in una serie di violazioni del codice della strada: avrebbe tra l’altro impegnato la corsia per la svolta a sinistra per superare la colonna di auto in attesa e viaggiava ad almeno 65 chilometri orari, in un punto nel quale il limite è solitamente di 50 ma che sembra potesse essere ulteriormente ridotto in quel periodo per la presenza di un cantiere. È rimasto solamente un dubbio sul colore del semaforo, sta di fatto che nessun altro automobilista presente aveva travolto gli altri studenti che stavano attraversando.
«I fatti raccontano di persone incarcerate per reati “minori” e di pene irrisorie per chi ammazza alla guida - constata amaramente la mamma di Sebastiano -: chiediamo subito il reato di omicidio stradale». La madre ritiene che chi ha travolto suo figlio (spirato il 18 ottobre dopo giorni di agonia in neurorianimazione a Niguarda, con donazione degli organi) abbia tenuto un comportamento «scellerato» alla guida.
Il verdetto di primo grado, altro aspetto che ha colpito la madre, è arrivato due anni e tre mesi dopo il grave episodio: «Speravamo di avere a che fare con una Giustizia con la g maiuscola, ma la nostra impressione purtroppo è un’altra», prosegue la mamma. Che aggiunge: «Quanto vale la vita di un ragazzo? Non un giorno di riabilitazione verso la collettività, non una parola di scuse, e tanti saluti. E magari potrà fare anche ricorso verso questa sentenza». Cristina Omini non riuscirà mai a pensare che questa vicenda possa essere considerata freddamente come l’urto di un ostacolo in mezzo alla strada, e, dopo aver riflettuto, ha voluto rendere pubbliche le sue amare considerazioni.
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