Lavorava in banca a San Donato Milanese, era incensurato ma nel 2000 era stato arrestato perché nel 1997 nella sua filiale era stata commessa una rapina da 300 milioni di lire: un bottino molto più consistente rispetto al denaro solitamente disponibile in quella filiale del Banco di Roma, e per quel motivo gli investigatori da subito pensarono a un basista. A lui, un uomo che ora ha 62 anni e percepisce una piccola pensione di invalidità, la polizia era però arrivata dopo indagando su un episodio che, ha poi accertato la corte d’appello, non l’aveva coinvolto: il 14 maggio del 1999 a Milano in un conflitto a fuoco che lasciò a terra 200 bossoli di kalashnikov furono feriti in 9 tra poliziotti e carabinieri e poi morì per le ferite riportate l’agente 27enne Vincenzo Raiola. Era l’assalto di via Imbonati, dove con un’azione militare una banda di rapinatori tentò l’assalto a un furgone blindato della Setefi che trasportava 9 miliardi di lire.
Erano entrate in azione, una decina di persone, che secondo la procura della Repubblica di Milano facevano parte di un gruppo di 23 soggetti accusati a vario titolo id una quindicina di rapine. Le indagini dopo alcuni mesi portarono anche al sequestro di un box in via Puccini a Vizzolo Predabissi trasformato da un inquilino 35enne in un vero arsenale militare.
Il 62enne ex bancario di San Donato è stato riconosciuto colpevole solamente di aver passato informazioni a quei rapinatori che colpirono nella filiale in cui lavorava, e ha scontato 5 anni di carcere. Ha pagato gli avvocati, le spese di carcerazione preventiva, poi, finiti i soldi, la banca gli ha fatto causa per l’entità del bottino pignorandogli per il resto della vita un quinto della pensione.
Ma nell’ottobre 2012, passati sei anni dall’ultimo giorno in cella, era stato raggiunto da una raffica di cartelle esattoriali Equitalia: gli veniva chiesto un milione di euro, “in solido” con tutti gli altri imputati, a titolo di spese di giustizia. «Le intercettazioni costano - spiega il praticante sandonatese Sabina Carretta, che ha assistito il 62enne nella sua battaglia a Equitalia assieme all’avvocato Annalisa Abate di Como -. Ma non è giusto che Equitalia chieda le spese di giustizia “in solido”. Tutti i 17 condannati avrebbero dovuto pagare la totalità delle spese e poi chiedere a Equitalia la restituzione di quanto dovuto, invece, da altri. Avviando una complessa e costosa causa civile: impossibile pensare che un gruppo di presunti correi trovi un accordo. Invece ci siamo rivolti al tribunale di sorveglianza. Che ha indagato, accertando le condizioni patrimoniali di quest’uomo e anche la sua condotta, e ha deciso che non deve pagare un solo euro. Ci siamo anche dovuti opporre a una cartella per 2mila euro di multa: era stata annullata con l’applicazione dell’indulto, ma Equitalia l’ha richiesta lo stesso». Il 62enne vuole ringraziare pubblicamente la dottoressa Carretta, che ha conosciuto per caso e ha accettato il non facile incarico.
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