
Tarantasio / Lodi
Martedì 08 Aprile 2025
Troppi fantasmi per dormire sonni tranquilli
MARTEDÌ HORROR Storie da paura per piccoli coraggiosi, a cura di Francesca Fornaroli
Maccastorna
Quando scende la sera e la luce della luna colpisce le sottili finestre del castello, si scorge qualche ombra che fluttua sospesa nell’aria: alcune giocano a rincorrersi, altre sono più isolate e avvolte nei loro pensieri. Quello descritto è lo scenario che in alcune notti si intravede nel castello di Maccastorna (o per lo meno è quello che raccontano le leggende).

Maccastorna è un piccolo paese in provincia di Lodi (anche se è molto più vicino alla città di Cremona), con un castello che da qualche secolo intimorisce le persone, non solo per l’aspetto tenebroso che acquisisce in inverno quando arriva la nebbia ma anche per la presenza di 70 fantasmi (nella speranza che siano tutti molto simpatici, altrimenti la convivenza risulterebbe molto difficile). E quando si parla di questo castello bisogna immaginare un grande edificio a forma quadrata e composto da mattoncini rossi, con un’alta guglia che decora l’ingresso e da cui si entra nel cortile interno. Ci sono delle piccole finestrelle ai lati (altrimenti i 70 fantasmi morirebbero una seconda volta asfissiati): ora, proviamo a varcare l’ingresso e riempirlo con la nostra immaginazione. Per farlo però dobbiamo tornare indietro nel tempo, nella notte del 24 luglio 1406. Il crudele condottiero Cabrino Fondulo, proprietario del castello, voleva diventare un vero signore (vale a dire che avrebbe voluto ampliare il territorio di Maccastorna e creare, intorno al paese, uno spazio più grande, tutto suo).

D’altronde era un personaggio molto ambizioso e per ottenere ciò che desiderava si faceva davvero pochi scrupoli (ora vedremo perché). Per espandere i suoi possedimenti non doveva avere nemici intorno, e un certo Carlo Cavalcabò, che era risaputo volesse bloccare l’espansione di Cabrino, poteva essergli di disturbo. Così Cabrino lo invitò, insieme a una sessantina di nobili milanesi, nel suo castello. Si fece mezzogiorno ma non c’era ancora traccia di nessuno. Al tempo non c’erano i telefoni, per cui l’unico modo era aspettare e lasciare scorrere il tempo. Passò un’altra ora ma niente, solo il canto delle cicale rompeva il silenzio di quel caldo giorno estivo. «Ma insomma Ernesto non hai sentito ancora nulla? - si rivolgeva Cabrino a uno dei suoi servi più fidati - mi raccomando avvisami al primo segnale e non dimenticare il piano di stas...».
«ECCOLI!»
«Eccoli!» Insomma Ernesto troncò il suo padrone perché sentì in lontananza il rumore degli zoccoli dei cavalli. Allora ecco che il servo cominciò a correre giù dalle scale: «Forza deve essere tutto perfetto, aprite le porte, sono arrivati!». Cabrino si alzò velocemente dal sofà, al centro della sala principale, e corse davanti allo specchio per sistemarsi il panciotto (sì, a quell’epoca la stanza era allestita in modo molto confortevole per accogliere gli ospiti). Ordinò ai servi di accompagnare gli arrivati dentro il cortile e di portare i loro cavalli ad abbeverare. Da qui in poi ebbe inizio la tragedia. I signori erano venuti ospiti (per quanto credevano) per prendere accordi e parlare della situazione territoriale circostante. I discorsi, tuttavia, si conclusero velocemente dal momento che Cabrino manifestò una certa fame. «Ma come sono solo le 17 e ha già fame?» bisbigliavano tra di loro gli ospiti. Cabrino non diede retta alle voci e fece allestire un banchetto da cui traboccava cibo da ogni parte: al centro venne appoggiato un grosso tacchino e tutti cominciarono a mangiare con gusto.

Arrivò il tramonto e, conclusasi la cena, Cabrino esclamò: «Ma restate pure a dormire, c’è posto per tutti e persino per la vostra scorta, sarete stanchi...». I poveri ingenui accettarono e si fecero accompagnare nelle stanze che erano già state preparate con cura. Nelle sale del castello, immaginate dei grandi letti morbidi e profumati, tappeti accoglienti e anche alti armadi... «Date a me i soprabiti, e appoggiate pure i vestiti sulle sedie! - gridò il servo Ernesto - basta che non aprite gli armadi perché ho dimenticato di spolverarli...». Un po’ confusi gli invitati si stesero a letto e diedero retta ai suggerimenti del servo. Durante la notte Cabrino Fondulo uscì dalla sua stanza in punta di piedi, corse in fondo alle scale dove si trovava una piccola campana e la mosse lievemente.
Era il segnale!
Da quel leggero rumore i servi che si erano nascosti negli enormi armadi capirono che era giunto il momento di balzare fuori dai mobili e accanirsi sui poveri nobili. Fu così che al segnale i malcapitati morirono senza nemmeno accorgersene, pugnalati nel sonno.
Una storia spietata, che non verrà mai dimenticata. Anche perché si narra che a luglio, nella notte dell’anniversario della strage, tra le pareti e le sale del castello risuonino ancora le voci e i rumori dei sessanta fantasmi che lo abitano.

Sarà vero o non sarà vero, fatto sta che - pare - l’attuale proprietario preferisca andare in vacanza altrove proprio in quei giorni.
E Cabrino che fine fece? Circa 20 anni dopo nessuno aveva ancora il coraggio di pronunciare una sola parola riguardo l’accaduto (anche se tutti ne erano a conoscenza), tuttavia le cose cominciarono a mettersi male anche per lui. Il duca di Milano, Filippo Maria Visconti, per il timore che potesse allearsi con Cremona e sferrargli un attacco, gli tese un’imboscata facendolo catturare e poi rinchiudere nelle segrete galere di Pavia, e anche lui fece una brutta fine.
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