Un incontro con la coda

Una barca a vela in Grecia è il punto di partenza per un’avventura che lascia il segno...

L’anno scorso, per la prima volta nella vita, ho fatto una vacanza in barca. C’erano con me Chiara e Carlos, ma non c’era Ziggy che, soffrendo il mal di mare, ha preferito rimanere a casa. Eravamo sulla barca di Carlos, che è una barca a vela lunga dodici metri con dentro letti, bagno, tavolo, cucina, e tutto il necessario per esplorare i mari come dei veri pirati. In realtà, noi non abbiamo fatto i pirati, ma ci siamo limitati a girare un po’ per le isole della Grecia. Ed è proprio su una di queste isole che ho lasciato il mio cuore. Vi spiego cos’è successo. Visto che la barca era di Carlos, per lo più era lui a guidare, ma io dentro di me mi sentivo un capitano, così quando potevo prendevo il comando di una seconda imbarcazione: si tratta del piccolo gommone che si usa per scendere a terra, un guscio di noce lungo un metro o poco più. Certo, non è un grande mezzo, però finalmente potevo fare io il comandante e scegliere dove andare. Quando ci fermavamo con la barca grande, prendevo il gommone e remavo remavo nel mare, arrivavo fino alla spiaggia per cercare delle conchiglie o per esplorare i dintorni.

Fatto sta che un giorno, mentre remavo, faceva un caldo tremendo, allora ho pensato di ripararmi dietro un grande scoglio che faceva un po’ di ombra. Mi sono avvicinato con i remi e mi sono attaccato allo scoglio (mi sono persino ferito a una mano, perché era spigoloso, ma niente di grave) e sono rimasto un po’ lì, dove l’acqua è bassa, a prendere il fresco con i piedi a mollo. Intorno a me, il blu del mare della Grecia, un riccio, e anche una nuvola di pesciolini.

È stato in quel momento che ho sentito la sua voce: “Ahia, aiuto!”. Sembrava più un sussurro che altro, ma mi ha incuriosito e un po’ spaventato perché c’ero soltanto io lì.

Beh, per prima cosa ho legato il gommone, perché non venisse portato via dalle onde, e poi ho fatto il giro dello scoglio, che era piuttosto grande, quasi come una piccola isoletta, per cercare di capire cosa stesse succedendo. Girando intorno ho fatto una scoperta che mi ha fatto spalancare gli occhi (nonostante ci fosse un sole che accecava). Tra le rocce, sul pelo dell’acqua, si apriva un passaggio nascosto, una specie di grotta che non avevo notato, ed era proprio da lì che veniva la voce.

Cosa avreste fatto voi? Io, in un’altra situazione, sarei sicuramente scappato, ma ero arrivato su quell’isoletta al comando della mia barca (anche se piccola) e dovevo comportarmi come un vero comandante coraggioso, non potevo scappare. Così mi sono fatto coraggio e sono entrato, incurante del granchio che mi guardava con fastidio pronto a pizzicarmi il piede nudo.

Sono entrato e, per prima cosa, non ho visto niente. Niente di niente, tutto nero. Succede, ovvio, quando passi dalla luce al buio, ma poi gli occhi si abituano: pian piano è apparsa una grotta abbastanza ampia, con l’acqua del mare che filtrava dall’entrata e una piccola spiaggetta. Non credevo ai miei occhi: sulla spiaggia c’era una donna con i capelli blu e un costume da sirena, il più bel costume da sirena che avessi mai visto.

Che cosa ci faceva lì? Beh, gliel’ho chiesto usando qualche parola di greco che ho imparato al liceo. Il mio greco era un po’ troppo arrugginito, ma non è stato un problema. La sirena, infatti, si chiamava Martina e ovviamente, come fa capire il nome, non era una sirena greca, ma veniva dall’Italia. Mi ha spiegato che le sirene possono nuotare a velocità incredibili senza stancarsi, e che lei si era allontanata da casa perché nuotando aveva visto una povera tartaruga impigliata in una rete da pesca, e l’aveva seguita per cercare di liberarla. Le reti da pesca abbandonate, perse o scartate, infatti, sono note come “attrezzi fantasma” e rappresentano un grave problema di inquinamento marino: spesso sono di plastica e non si degradano facilmente, ma rimangono in mare per centinaia di anni. Le reti fantasma possono così intrappolare e uccidere numerosi animali marini, tra cui pesci, tartarughe, delfini, foche e uccelli marini che possono rimanere imprigionati.

Lo sapeva bene, Martina, che ha nuotato accanto alla tartaruga per un bel po’ prima di riuscire a strappare la rete e liberarla. A quel punto, però, era scesa la sera e la povera sirena era così lontana da casa che si era davvero persa. Nessun problema, le sirene sono coraggiose, e così ha continuato a nuotare, chiedendo indicazioni ai vari animali che incontrava, solo che i pesci non parlano granché (ne avete mai sentito uno parlare? Non credo) e nuotando è arrivata fino in Grecia, senza saperlo. Ma la sfortuna non era finita, perché in Grecia ci sono molte barche, e non sono tutte a remi come il mio gommone, anzi, quasi tutte hanno un’elica. È stata proprio l’elica a ferire la mia sirena, che aveva un brutto taglio sulla pinna.

Oddio. Ma non mi ero accorto! Tutto preso dalla storia, raccontata con questa voce bellissima che sembrava quasi cantare, non mi ero reso conto della cosa più assurda. Non era un costume, questa era una sirena vera, con una pinna vera. Forse stavo impazzendo, forse ero finito in un altro mondo, perché le sirene non esistono. Eppure era lì davanti a me, e in quel momento ho pensato anche io di essermi perso, forse avevo picchiato la testa entrando nella grotta e questo era solo un sogno.

Sono indietreggiato di qualche passo, fissando il vuoto, e per qualche secondo sono rimasto muto e indeciso su cosa fare. Ma la sirena mi ha subito guardato male: “Ehi, svegliati, non puoi aiutarmi?” ha detto, stupita perché quello che si comportava in modo strano, in quel momento, ero io. Invece di pensare ad aiutarla, ho pensato soltanto a quanto fosse strana con quella coda grigia. Ma la sua voce mi ha fatto subito riprendere, dovevo fare il cavaliere e aiutarla, dovevo essere gentile. Mi è venuto in mente che sul mio gommone c’era una piccola cassettina con dei cerotti e altre cose per la sicurezza, così sono corso a prenderla (a piedi nudi sugli scogli, un male!). In un baleno sono tornato, ho disinfettato la pinna mentre Martina faceva delle smorfie perché l’alcool le bruciava, ma non si è mai lamentata. Poi ho provato a metterle un cerotto, ma sul bagnato mica restava, poi immaginavo che non appena lei si sarebbe infilata in acqua, sarebbe venuto via. Allora ho messo una specie di garza, ho fatto del mio meglio, ma lei sembrava abbastanza soddisfatta.

Ora, l’unica cosa da fare era cercare di aiutarla a tornare a casa, che era la cosa più difficile. “Ti mettiamo sulla barca a vela e torniamo in Italia al volo” le ho detto, ma ha storto il naso. “Non mi pare una bella idea, non voglio che mi veda troppa gente, non mi fido neanche di te, figurati degli altri”. Nuotare, riusciva a nuotare, ma per la direzione serviva una bussola o qualcosa di simile. Non ho avuto un attimo di esitazione: “Prendi il mio telefono: è impermeabile, puoi usare il navigatore e in un baleno torni a casa. Soltanto, dovrai nuotare svelta, perché la batteria non dura molto”. Purtroppo, è un telefono un po’ vecchio, e tipo a metà giornata è già scarico (così, dandolo a lei, avrei avuto anche una scusa per comprarlo nuovo).

Sembrava un’ottima idea: le ho dato il telefono, le ho dato anche il mio panino che avevo portato come merenda, anche se credo che l’abbia accettato solo per cortesia, non l’ho vista che lo mangiava (che cosa mangiano le sirene??). Cinque minuti dopo, era in acqua, pronta a partire: si è tuffata e stava andando via senza nemmeno salutare. “Beh, sei piuttosto maleducata anche tu eh?” le ho urlato, e quella si è subito fermata. Ancora mi ha guardato con quegli occhi di ghiaccio con cui mi aveva squadrato prima, e io ho avuto ancora paura. Ma non era cattiva, era solo stanca e aveva voglia di tornare a casa. Infatti, subito dopo ha sorriso e mi ha chiesto scusa: “Guarda, per ringraziarti posso farti un regalo” ha detto, ha raccolto una conchiglia e me l’ha messa in mano. Sai che regalo, ho pensato, ma non sono stato così stupido da dirglielo. Ma lei deve averlo letto nel mio sguardo e ha aggiunto: “Ovviamente, “è è una conchiglia magica, ma tu sei troppo umano per capirlo. Potrai usarla per parlare con gli animali marini, e se ci soffi dentro, quando avrai bisogno di aiuto, arriverò ad aiutarti. Ovviamente se stai nel mare, non pensare che prenda un pullman per venire fino a casa tua”.

Detto questo ha solo aggiunto “Ciao ciao” e in meno di dieci secondi era scomparsa. Io, con la conchiglia in mano e senza cellulare sono uscito dalla grotta per andare a prendere il mio gommone e tornare indietro da Chiara e Carlos, che sicuramente erano preoccupati per me, dopo così tanto tempo.

Sono tornato remando, ho raggiunto gli altri che ovviamente mi sono saltati addosso per sgridarmi, preoccupati: “Dov’eri finito??”. Pensavano mi fossi addormentato al sole, ma io ho stupito entrambi raccontando la storia più emozionante che mi era capitata nella vita. “Ti sei davvero addormentato al sole - mi han detto – e forse hai pure picchiato la testa”. Malfidenti, avevo le prove: “E allora questa conchiglia magica chi me l’avrebbe data?” ho detto, mostrando la conchiglia che avevo in mano. Mi hanno guardato come un povero pazzo, perché effettivamente sembrava proprio una normalissima conchiglia. “Eh vediamo, hai anche una foto di ‘sta sirena magica?”.

Mentre parlavano, mi sentivo sempre meno sicuro di me: “Mi spiace, le ho dato il mio telefono per trovare la strada di casa”.

Devo dire che dopo quell’episodio, la vacanza ha preso un po’ una brutta piega, perché insomma, io avevo conosciuto una vera sirena e loro erano così noiosi da non crederci. Eppure mi dico che non può essere stato solo un sogno, ma che è stato l’incontro più pazzesco che io abbia mai fatto. Così quando mi sento triste, ancora oggi, vado a prendere la mia conchiglia dal cassetto dove la conservo e, che ci crediate o no, quando la avvicino all’orecchio sento il rumore del mare e non ho dubbi: è davvero magica.

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