Erbe, bacche e radici per l’amaro Borgo Adda

LA CUCINA DELL’ANIMA Sulle rive del fiume, a Lodi, con il 34enne Omar Lamparelli e il suo distillato

Omar Lamparelli ha 34 anni, è l’ideatore dell’amaro Borgo Adda, e mostra di avere idee chiare su come, quella che era una semplice passione, poi divenuta idea concreta e vincente, possa costituire in futuro una svolta importante non solo per la propria vita, ma per lo stesso territorio in cui vive.

È la prima volta che lo incontro, anche se la sua fisionomia non mi è nuova. Apprezzo di lui che non perde una sola impronta del proprio vissuto. Mi dice: «Ti piace il calcio? Anche a me: ho pure giocato nel Fanfulla, allenato da quello che io considero un grandissimo tecnico, di livello assoluto: mister Gabriele Peccati. E sono anche nipote d’arte: mio nonno materno era l’attaccante Andrea Colombo, faceva parte del Fanfulla della serie B degli anni Cinquanta».

Il calcio, gioie e dolori mio caro! Parliamo piuttosto del liquore che hai inventato?

«Sono appassionato di amari, proprio di quelli artigianali. Tre anni e mezzo fa, incontrando un ristoratore, mi sono reso conto che a Lodi non esisteva un prodotto di questo tipo, che fosse cioè identitario del territorio».

E conseguentemente…

«No, non pensare che sono arrivato subito all’amaro. Il processo è stato lungo, in parte anche sofferto. Sono partito da erbe, bacche e radici delle nostre zone, diciamo padane: studiando queste mi sono chiesto se si potesse arrivare a realizzare qualcosa».

Mi intriga. Ma come devo immaginarti: come un mago Merlino davanti ad un pentolone?

«Non propriamente così. Ma come uno che ha letto tutti i libri sull’argomento ben catalogati sul Sito del Parco Adda Sud. La sera a Giulia, la mia compagna, raccontavo le cose che più mi avevano colpito: il suo supporto è stato determinante per me».

Ma un amaro quando si beve? Rigorosamente dopo cena?

«Si tratta di un prodotto versatile. Certo, puoi berlo come digestivo a fine pasto; ma quelli più secchi vano bene anche come basi per un cocktail. Nel mio sito, www.borgoadda.it, vi sono ricette elaborate da un barman che usa questo liquore proprio come base per un long drink».

Entriamo nei dettagli, Omar: cosa c’è in questo tuo amaro?

«Dodici erbe, bacche e radici: le grammature più alte sono, comunque, tarassaco, sambuco e ortica».

Conoscevi già qualcuno di questi prodotti?

«Le bacche di sambuco. Quando andavo a pescare e cadevano sulle acque del fiume, mi accorgevo che i cavedani ne andavano ghiotti, e riprendendo una tecnica utilizzata dai vecchi e sapienti pescatori io stesso le usavo come esche. Ma non pensavo che avessero questo potere balsamico così incredibile. È un collegamento che spero tu colga».

Il fiume e le bacche?

«Direi la pesca, che è indissolubilmente legata al nostro territorio: nel passato fu una forma di sostentamento per la gente più umile».

Bello che tu ne faccia accenno. Ma quando hai cominciato a creare questo amaro?

«Facendo infusi freddi, ovviamente in modo molto artigianale: ricordo un Natale in cui ai miei famigliari e a quelli di Giulia imposi di berlo come fine pasto, e mi sembrò che non lo disprezzassero, anzi!».

Insomma, fu un passo incoraggiante?

«Tanto da mettermi a cercare una distilleria. Purtroppo, in zona non ne ho trovate. Ne ho scelta una a Mirandola, sai dov’è?».

Zero.

«In provincia di Modena. Lì ho avuto un attimo di smarrimento. Perché un prodotto lavorato e finito ha come gli aromi appiattiti, mi spiego? Il filtraggio più raffinato consente di eliminare le impurità, è vero, ma fa diminuire il sapore e gli aromi, comunque li affievolisce».

E dunque?

«Ci siamo impegnati per trovare la soluzione giusta. La botanica è quella scelta da noi, i nostri dosaggi sono rispettati alla perfezione, non vi è aggiunta di conservanti: abbiamo trovato gli equilibri».

Che gusto ha?

«È un amaro secco, essenziale, ne cogli subito il sapore, arriva al palato senza sovrastrutture, con una nota balsamica molto accentuata. Ha una percentuale di zucchero bassissima, soprattutto se paragonato ad altri amari, e la gradazione alcolica è di 26 gradi».

Il suo colore invece?

«Ambrato, marroncino».

Ma tu stipi il portabagagli della tua macchina di tarassaco e bacche e altre erbe?

«Ovviamente, no. Anche se in natura ne abbiamo in abbondanza, per imposizioni burocratiche non posso effettuare alcun tipo di raccolto. Utilizziamo erbe all’ingrosso: la distilleria ci ha messo in contatto con un distributore che vende prodotti di altissima qualità di taglio erboristico. In futuro, vedremo».

Come mai hai deciso di chiamarlo Borgo Adda, il tuo amaro?

«È stata, quella del nome, una scelta molto travagliata: una selezione che mi ha devastato la testa per mesi. Ho scelto a qualcosa che fosse estremamente identificativo della città di Lodi, come il quartiere del Borgo, realtà rivierasca, e dove tra l’altro i miei nonni materni hanno avuto la propria origine».

Bella questa idea, approvo.

«Ma è importante il brand complessivo: il sottotitolo, scorre impetuose, rimanda in modo incisivo al nostro fiume. Il termine Adda, infatti, dal celtico Abdua, vuole dire proprio questo: Acque che scorrono impetuose. La mia intenzione è stata quella di rafforzare il nome al fiume, le cui acque conservano la forza atavica che possiede la natura».

Una volta prodotto il liquore, cosa hai fatto?

«La prima produzione è stata come una scommessa. Poi ho provato a metterlo in commercio sul canale Horeca, che si rivolge alla vendita per bar, ristoranti, agriturismi ed altri esercizi commerciali. Devo dire che i risultati sono stati soddisfacenti, per la verità ne sono rimasto piacevolmente sorpreso».

Posso chiederti quante bottiglie hai messo in commercio?

«Quest’anno già duemila».

Mi sembra un ottimo risultato.

«Devo ringraziare gli esercenti di Lodi e della sua provincia che hanno creduto in questo progetto: non era facile né scontato. Penso che abbiano colto il sentimento che vuole esprimere questo amaro».

© RIPRODUZIONE RISERVATA