Il movimento perpetuo per il miele “perfetto”

I segreti di Elettra Russi e della sua bottega di via del Pulignano a Lodi

Federico Garcia Lorca, Pablo Neruda, Pierpaolo Pasolini, scrittori che elogiavano il miele, come cibo, sapore o soltanto colore.

Notti, cieli stellate e poi albe che accarezzano declivi così nitidi da scorgervi ogni essenza di vita: Elettra Russi produce miele, e ne racconta la genesi, non ci sono le arnie nella bottega di via Pulignano a Lodi, ma sembra di averle di lato.

Con le api, Elettra ha quasi un obbligo di riconoscenza: «Essendo nel ramo agricolo, durante il lockdown le api mi hanno consentito una parvenza di normalità in quanto dovevo uscire fuori, all’aria aperta, per curare le arnie: entrare in relazione con loro aiuta a comprendere i ritmi della natura; inoltre, penso di conoscere molto bene le api: dal solo ronzio capisco se manca la regina, se sono orfane o nervose. Abbiamo costruito una relazione molto significativa: ci sono io e ci sono loro».

Parleremo anche della tua attività imprenditoriale, ma questa pagina è sul cibo e sulla cucina: a tuo avviso, col miele andiamo fuori tema?

«Assolutamente no. Gli chef stanno scoprendo il miele come ingrediente versatile. Poi dipende dal cuoco. Ma io sono certa che, nel futuro, verrà utilizzato ancora più di ora, perché ha qualità importanti».

Cos’è, più in generale, la qualità del miele? Cosa intendi?

«La mia missione è di rispettare e tutelare il miele, prodotto dalle mie api. Però il termine qualità può avere vari significati: ad esempio, nel miele industriale la qualità potrebbe volere dire avere un prodotto sempre liquido, dunque pastorizzato, avendo la presenza capillare sul territorio, ma senza particolare cura sulla varietà».

Veramente io alludevo alla qualità più intrinseca del miele prodotto da te.

«Allora, direi la ricerca delle diversità: ad esempio, dei sapori, dei profumi, e delle consistenze. Questo significa la continua ricerca di luoghi in cui portare le api e quindi raccogliere il miele che racconta le origini di quel luogo. Ciò significa portare direttamente al consumatore, più puro e inalterato possibile la preziosità del mio miele biologico, un prodotto naturale».

Il miele in cucina su usa come dolcificante.

«Certamente, soprattutto quello di acacia, che è un miele neutro quindi adattissimo ai dolci».

Quindi arriva alla fine, magari dopo lauti pasti.

«Direi assolutamente di no. Il millefiori, ad esempio, va nei risotti e nei tortelli, e si fa spazio anche in nuovi piatti, intesi come primi. Mentre il miele di castagno va per le carni, polli ed arrosti. E quello alla amorpha frutticosa, che deriva da un arbusto che fiorisce sulle rive dei fiumi, serve per glassare la frutta rossa o per le crostate».

Non c’è male!

«Oppure il miele di castagno, che va abbinato sui formaggi stagionati. O miele di erba medica, che si amalgama benissimo con la polenta. Potrei suggerire una ricetta che fa Beppe, mio marito, abbinando il miele al pesce».

Stento a crederci!

«Allora, fa marinare il salmone con il pepe rosa, e poi ci mette un’aggiunta di miele d’acacia; è di una bontà assoluta, fidati».

Un ultimo suggerimento culinario?

«Andiamo sulle bevande? Il miele di tiglio ha un sapore floreale con retrogusto mentolato adattissimo alla dolcificazione di liquidi».

Sinora abbiamo parlato di mieli noti, me ne dici uno poco conosciuto e che sarebbe da scoprire?

«L’alianto, che arriva da un albero infestante, e che ha il ricordo dei frutti tropicali e di pesca, senti proprio il sapore in bocca, ma deve piacerti».

A quando risale la tua esperienza di apicoltrice?

«Ho cominciato nel 2016. In realtà io sono geometra, ho lavorato per alcuni uffici tecnici, nata e cresciuta a Milano: uscivo di casa al mattino col buio e rientravo di sera, con il buio. Una vita impossibile!».

Poi cosa è accaduto?

«Mio suocero mi ha spronato a cambiare, perché lui aveva avuto da sempre questa passione per il miele. Poi non ha potuto proseguire e mia suocera mi ha regalato le prime dieci arnie. Adesso ne ho 150: dove? Non si può dire, però sono dislocate in quattro postazioni diverse. Spostiamo le arnie di notte, quando tutte le api sono dentro, le carichiamo su un cartellone e partiamo verso nuove mete, inseguendo le fioriture».

Il bello di questo lavoro, ed il brutto?

«Lavoro con il cielo e con la terra, quando mi sposto vedo cieli notturni incantevoli, e arrivo alle mete che sta appena albeggiando. Al tempo stesso è un lavoro molto faticoso dal punto di vista manuale e degli sforzi: io sono piccolina e donna, certe volte ho bisogno della forza di mio marito e mi scoccia molto non essere autonoma in tutto».

Qual è l’ultimo miele del raccolto?

«Quello della melata di bosco, ma non si tratta di una fioritura: in realtà lo si deve agli insetti, che si nutrono della linfa degli alberi rilasciando una sostanza zuccherina sulle foglie che le api prelevano e la trasformano in miele, e infatti contiene solo minerali e proteine e va benissimo per gli sportivi».

Poi ricomincia il ciclo della natura, e quindi dell’attesa?

«In realtà ci sono ancora la fioritura dell’edera e dello zucchino selvatico verso fine settembre, ma solo ad uso e consumo per le api, diciamo che costituiscono le loro scorte invernali. Infine arriva l’inverno».

E che succede?

«Quando la temperatura scende sotto i 15 gradi, le api vanno in glomere, cioè formano una palla attorno alla regina per scaldarsi. Se c’è il sole fanno dei brevi voli per rientrare prima possibile nell’arnia».

Quanto incide il clima per la salute delle api?

«Tantissimo! Gli inverni sono adesso miti, ma la mancata realizzazione dell’alternarsi delle stagioni ha prodotto significativi stravolgimenti, a gennaio e febbraio ci sono giornate calde, marzo ed aprile costituiscono un bimestre piovoso, invece era meglio quando c’erano le stagioni con regole fisse, almeno le api si riposavano, perché anche queste modifiche portano ad una riduzione della produzione del miele».

Oltre al clima quali altri rischi sono evidenti?

«I più immediati, e sotto gli occhi di tutti, le colture intensive, la cementificazione, i pesticidi, sono nemici acerrimi delle api. Quest’anno la produzione è stata tragica: se già nel 2021 ero stata costretta a fare solo 12 quintali di acacia, quest’anno ne ho fatti ancora meno. Ma anche per le altre fioriture non è che stia andando tanto bene. Ho saputo di colleghi che hanno avuto i loro alveari collassati per il poco nutrimento delle api».

Qualche tempo addietro leggevo che le api rischiano addirittura l’estinzione. Come stanno oggi le api?

«Me lo chiedono tutti. È giusto che i media ne parlino, ma i toni sono eccessivi: può accadere che gli alveari vengano avvelenati in primavera a causa dei diserbanti, le api perdono l’orientamento e succede di trovarle morte, davanti all’arnia, dove arrivano sfinite e intossicate. Le api e gli altri insetti impollinatori non stanno granché bene. Ma non è giusto ritenere che siano specie in estinzione. Però ci vogliono oasi di biodiversità persino nelle aiuole per fornire cibo costante e diverso a questi insetti».

Qual è il tuo miele preferito fra quelli che produci?

«Quello di castagno, ma apprezzo tanto anche la melata di abete bianco e rosso che si produce solo in Trentino».

Ma il miele, come dicono, è vero che possiede capacità taumaturgiche e curative?

«È un broncodilatatore ed un emolliente, ma lì ci fermiamo. Ho sentito dire su qualità lenitive del miele di tarassaco; a me piace molto, ha un odore un po’ animalesco, ma il sapore vanta come l’infuso di una camomilla, cristallizza come tanti altri, posso però assicurarti che non ha alcuna capacità curativa».

Posso venire con te e Beppe un giorno a farmi sorprendere da un’alba?

«Solo spettatore? Se ti rimbocchi le maniche, va bene: te l’ho detto prima, non c’è solo bellezza, ma anche tanta, tanta fatica».

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