La storia di Andrea, il cuoco “felice”

Al Mania di Codogno: «Ho solo un desiderio: continuare a lavorare contento»

Mi aveva molto incuriosito la storia di Andrea Cighetti, che si occupa della ristorazione del Mania di Codogno, elegantissimo locale sulla via centrale, adiacente alla piazza XX Settembre, proprio di fronte la chiesa di San Biagio. Più di una persona, infatti, mi ha parlato di questo ragazzo, destinato per studi a lavorare nell’edilizia, trovatosi invece per necessità a fare il barman, e infine, sotto la guida di Ornella Pavesi, proprietaria del Mania, catapultato in cucina dove ha trovato il suo ambiente ideale, stupendo tutti per la qualità dei cibi che propone: i clienti, gli occasionali avventori, e probabilmente pure se stesso. Ma non la signora Ornella, che a questo ragazzo, classe ’89, ha dato immediata ed istintiva fiducia.

Andrea Cighetti è un ragazzo educatissimo e timido: alle domande, arrossisce. Ma non se ne sottrae ad alcuna: come sanno fare le persone limpide nell’animo. Parliamo anche di psicologia e di sogni. Di desideri e di utopie. Forse, ho carpito uno dei suoi possibili segreti: Andrea è un cuoco che studia, il traguardo lo sposta sempre cento, duecento metri più in là; nelle ore libere, si affianca a chi ha maturato esperienze di lungo corso, certe volte pagando pure di tasca propria le lezioni, ed impara. E quindi sperimenta. Lo metto subito alla prova, chiedendogli un bignè alla crema. Annuso il pasticcino. Lo osservo attentamente. Lo soppeso. Sembro un giudice di Masterchef. Infine, lo assaggio. È di una straordinaria bontà: con la farcitura piena e soffice, gustosissima, proprio come deve essere il sapore della crema. Adesso il timido sono io: vorrei chiedere il bis, ma detesto le invadenze.

Andrea, complimenti: questo bignè già da solo mi parla di te.

«Grazie. Quando sono arrivato alla cucine del Mania come cuoco e guida ho trovato Michele Asti, che prima lavorava al ristorante Il Leoncino. Un tipo bello tosto. Prima consegna: lavare i piatti. Poi, mi ha messo a pelare patate. Periodi lunghi, interminabili. Quindi mi ha promosso con un nuovo incarico: pulire il pesce e tagliare le verdure. Altri periodi infiniti. Alla fine, quando ha capito che poteva fidarsi, dopo che aprendo le ostriche non mi tagliuzzavo più le mani, mi ha messo davanti ai fornelli».

E l’indipendenza quando l’hai raggiunta?

«Gradualmente. Avevo questa ansia addosso, la voglia di inventare, di creare soluzioni nuove, ma non ancora la giusta esperienza. Ornella mi ha fatto seguire da altri chef, ed io stesso ho autonomamente avviato un mio percorso personale, affiancandomi ad un mio amico, Gianluca Cremonesi, chef in un locale stellato. Quindi, visto che hai apprezzato il bignè, imparando anche dalla chef Valentina Planta, che in fatto di pasticceria è ad altissimi livelli».

Introducimi in un tuo percorso gastronomico, come suole dirsi a la carte menu.

«Noi usiamo tanto il finger food, per cominciare; ad esempio, con una serie di bicchierini attraverso i quali offriamo una vasta gamma di antipasti. È una moda che si è diffusa rapidamente, e c’è fra i clienti chi si è spinto oltre e ci chiede la realizzazione di una vera e propria pasticceria salata: quindi, bignè con crema di zucca e barbabietola, cannoncini al gorgonzola, tartine alla frolla salata con olive e capperi o anche del salmone marinato sempre alla barbabietola. Davanti hai vassoi apparentemente di pasticceria, e invece siamo nel regno del salato».

Sono proprio cambiati i tempi!

«Aspetta, la pasticceria salata non è una nostra invenzione, c’è da qualche tempo. Noi, magari, ci inventiamo dei particolari. E comunque è un bell’impatto visivo questa tavolata con tantissimi bicchierini, monoporzioni a volte realizzate con cialda di grana, o con roast beef , oppure un gazpacho di fragole con seppie di mare, generalmente va bene tutto ciò che può essere servito freddo».

Al Mania, comunque, sono molto apprezzati i pranzi di lavoro.

«Per mangiare noi siamo aperti solo per il mezzogiorno. La sera è riservata in occasione di feste, compleanni, anche matrimoni, o per servizio catering, in quanto sono numerose le aziende che ci chiedono questo servizio e noi portiamo fuori il nostro asporto. Ma la tua osservazione non è correttissima».

In che senso?

«Generalmente, per i pranzi di lavoro, si fanno sempre le stesse proposte. Noi invece cambiamo menu anche tre volte alla settimana. Offriamo prodotti freschi: ad esempio, ravioli, plin, lasagne, gnocchi, sono paste tutte realizzate dal sottoscritto. Preferisci un risotto? In sette minuti è servito: è un precotto, ma abbattuto con una temperatura a – 20°, quindi ripreso, con aggiunta di vino bianco, aceto bianco e cipolla per la mantecatura finale. Oppure, sempre in tema di risotti, posso suggerirtene uno con taleggio, funghi, crema di mirtillo e polvere di barbabietola. Oppure quello classico con l’ossobuco».

Scusami, me lo hanno già spiegato, ma la mia memoria perde colpi: cosa sono i plin?

«Si tratta di ravioli con pasta di semola, farina, tuorli d’uova, sale ed olio extra vergine di oliva, ripieni con brasato, o alla cacio e pepe, o con nduja e ricotta».

Buoni. Ma visto che ti hanno descritto come un inventore, posso chiederti di stupirmi?

«Allora, ti propongo le tagliatelle di seppie all’amatriciana, piatto innovativo in quanto sono le seppie a fungere da tagliatelle e il sugo è realizzato con il guanciale di maiale. Oppure, alternativa, taglioni freschi con crema di broccoli, limone candido e crumble di pane, peperoncino e acciughe».

Adesso ci sto prendendo gusto, continuiamo con un paio di secondi alla tua maniera?

«Ma l’elenco dei primi sarebbe ancora lungo! Comunque, prima una proposta tradizionale, in onore alle tue origini sicule: pesce spada scottato, servito con cime di rapa, olive taggiasche e pane carasau croccante. E, sempre per rimanere in tema di pesce, un merluzzo all’arancia, offerto con finocchio e crumble di finocchietto; e, infine, calamari ripieni di maialino, bisque piccante e polenta morbida bianca».

Mi hai steso!

«Se preferisci posso proporti anche una spuma di patate e cozze, con crostini all’aglio e olio, peperoncino e polvere di prezzemolo».

Un ultimo secondo? Poi riprendiamo il discorso sui dolci.

«Direi pancia di maiale, da fare ben marinare la notte precedente con paprika sale e zucchero, servita con patate arrosto e chimichurri, una salsa assai simile a quella nostra color verde ma che viene dall’America latina. Anche in questo caso ci sarebbero altre proposte…».

Torniamo ai dolci, e ti confido un segreto: vuoi colpirmi, devi abbondare con la glassa, che io adoro.

«Sei allora controtendenza, la gente non mi pare l’apprezzi più come una volta. Io la uso in casi particolari, ad esempio per alcuni dolci al cioccolato. Però, in fatto di pasticceria, credo di conoscere il fatto mio: tempo fa ho chiesto ad uno chef della nota gelateria Bandirali di tenermi un corso privato, proprio personale, giusto per specializzarmi».

Ti intendi anche di vini?

«So suggerirli, ho fatto il barman per lungo tempo. Qualcuno chiede di pasteggiare con il gin tonic, ma il vino per me è insostituibile: racconta di per sè una storia. Qui abbiamo una buona cantina, ma non impongo mai al cliente le mie preferenze».

Tu sei un ragazzo molto umile, ed io voglio darti un consiglio: non fare mai della tua umiltà un limite. Su queste basi ti chiedo: dove ti vedi tra dieci anni?

«Ho solo un desiderio: di continuare a lavorare contento. La mattina mi sveglio e non vedo l’ora di cominciare la giornata lavorativa. Tra dieci anni vorrei avere lo stesso spirito. Un locale tutto mio? Lo dirà il tempo».

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