Marmellate e succhi fanno bene al cuore

La storia coraggiosa de L’Officina di Codogno, che lavora con i ragazzi autistici

La domanda di Paola Pozzo, che insieme a Marco Notari, ha fondato la cooperativa sociale L’Officina, a Codogno, lei piemontese, lui ligure, lei architetto, lui esperto nel settore delle macchine da stampa, colleghi di lavoro da molto tempo, quella domanda, è un interrogativo che sembra non ammettere repliche negative: «Ma lei, lei la marmellata di cipolle di Tropea all’aceto balsamico l’ha mai assaggiata? Ha avuto modo di gustarne la squisita bontà?».

Siamo appena rientrati da un giro nell’ampio capannone de L’Officina: gli uffici sulla sinistra all’ingresso, le celle frigorifere sulla destra, grandi scaffalature, protette da ante rinfrescanti, prima di accedere ad un altro spazioso locale, dove avviene il confezionamento dei prodotti, ed infine il laboratorio sul lato destro sempre del secondo locale, con i necessari macchinari, sei, sette, ad occhio e croce.

Paola Pozzo me lo dice una seconda volta: «All’ultimo stand che abbiamo allestito, persino i bambini volevano mangiare la marmellata alle cipolle di Tropea, possibile che non le viene in mente se l’ha mai assaggiata o meno?».

Guardi, non ricordo; quelle cipolle mi piacciono, a chi non piacerebbero d’altra parte, ma la marmellata non in tutta sincerità non mi sovviene.

«Allora prima di andare via gliene darò in omaggio un barattolo. Posso anche chiederle come mai ha voluto incontrarmi?».

Perché mi interesso di cibo e so che a L’Officina, seppure da un’angolazione particolare, ve ne occupate. Soprattutto, mi incuriosisce la vostra storia, che non riesco ad inquadrare.

«Prima Marco Notari, poi io, abbiamo maturato un’esperienza nel Terzo settore, lavorando con l’associazione Il Carro di Paullo, nel settore dell’assistenza alle persone con disabilità. Era un impegno che ci piaceva, ma molte di quelle realtà, a seguito dei lunghi effetti della crisi economica, ancora intorno al 2012 sono andate in difficoltà, ed io ho pensato che quella esperienza potesse concludersi da un momento all’altro».

Ma il nesso con la marmellata?

«Ci arrivo. Ero molto dispiaciuta di questa prospettiva di chiusura. E così anche il mio socio Marco. Sa, soprattutto, cosa ci amareggiava? Il futuro dei nostri ragazzi. Si dice che il lavora nobilita, giusto? Ma chi parte svantaggiato, ed ha un impegno lavorativo, posso assicurare che trova una ragione validissima per stare meglio, per reagire alle avversità. Vuole fatto un esempio?».

Certamente.

«Uno dei nostri ragazzi aveva il compito di inserire un bullone dentro una molletta. Lavoro semplicissimo. Bullone, molletta. Ma poi questo ingranaggio entrava a fare parte dei quadri elettici delle navi. Questo ragazzo aveva un orgoglio smisurato; diceva sempre: lavoro perché imbarcazioni importanti navighino sul mare!».

Il rischio di chiusura, quindi, toglieva spazio alle aspettative di questi ragazzi: era questo il cruccio principale?

«Esattamente. E noi volevamo continuare a lavorare con, e non per; con le persone svantaggiate, intendo».

E come siete riusciti?

«Abbiamo chiesto ad un’azienda di Codogno di rilevare una commessa che aveva ricevuto da Il Carro. Era il maggio del 2015. Quindi, poiché noi lavoriamo con i ragazzi autistici, ci siamo rivolti alla Fondazione Comunitaria per sottoporgli i nostri progetti, e tanto ci hanno aiutato anche quelli del Servizio di Piano del Comune, in particolare Gian Marco Locatelli. Abbiamo costruito una rete, con altre realtà, e avviato una serie di eventi. Da qui è nato il marchio L’Orto di tutti, e poi un negozio».

Che tipo di negozio?

«La Rete desiderava un luogo dove potere commercializzare i propri prodotti. Inizialmente abbiamo chiesto la disponibilità ad Attilio Vignola, e per lui curavamo il Sito, la cartellonistica, l’allestimento della struttura. Poi, quando è andato in pensione, il negozio lo abbiamo rilevato noi dell’Officina».

Sin qui l’aspetto organizzativo e commerciale, Paola, mi sembra prevalente su quello produttivo.

«Vero, sino a quel momento. La scelta di ampliare l’attività avviene quando cominciamo a collaborare con la cooperativa sociale Il Pellicano di Castiraga Vidardo: questa realtà aveva già in possesso una macchina per fare le marmellate. Anche lì il primo approccio è stato di analisi: capire come vendere quel prodotto, formare gli addetti alla lavorazione, comprendere se fosse o meno sostenibile produrre marmellata».

E quindi, cosa si scelse?

«Marco ha studiato il macchinario, io le etichette da apporre ai barattoli e come raggiungere il mercato. Abbiamo cominciato a produrre un piccolo quantitativo di marmellate a due strati, di verdura e di frutta, da abbinare a formaggi o lessi».

Quanto è durata l’esperienza?

«Non molto, perché per motivi di sicurezza non potevamo portare i ragazzi fuori. Così, mantenendo sempre una relazione con Il Pellicano, abbiamo deciso di realizzare qui un nostro laboratorio di produzione: il 05.02.2020 eravamo pronti. Avevano cominciato il lavoro tre ragazzi autistici ed una donna keniota, mamma di un bimbo. Le nostre marmellate hanno immediatamente riscosso consenso per la particolarità con cui venivano create».

Cioè?

«Fatte con poco zucchero, per fare sentire maggiormente la frutta: prugna, pesche, albicocche, ciliegie; ma anche agli agrumi, a cominciare da quella con i melograni, di cui realizziamo pure un succo puro al cento per cento».

Insomma, avevate sfondato.

«Certo, ma contro… il muro del Covid, arrivato pressoché immediatamente. L’anno 2020 è stato tremendo, non avevamo dalle autorità sanitarie il permesso di lavorare con le persone con disabilità. Ci ha aiutato tanto la cooperativa veneta Giotto: questa lavora con i carcerati, a Padova, e voleva costruire una relazione che aiutasse le due realtà più flagellate dal Covid: Vo, sui colli Euganei, e appunto Codogno. Noi abbiamo prodotto marmellate, in Veneto il vino, ed in carcere preparavano le confezioni di questi due prodotti. Sono stati realizzati almeno cinquemila cesti natalizi».

Oltre alle marmellate, cosa fate?

«Succhi. Conserve di salsa. I nostri riferimenti sono i piccoli produttori. Uno, ad esempio, sta sperimentando le colture dalle piante idropomiche, un altro vuole produrre il succo dai kiwi gialli. Abbiamo fatto anche la marmellata con le mele cotogne del Comune di Codogno e dell’Istituto Tosi. Generalmente, noi cerchiamo proprio una relazione con i piccoli produttori: siamo infatti convinti che da singole, specifiche realtà possano emergere importanti novità, che hanno riflessi sulla qualità e sull’innovazione».

Quanti barattoli realizzate?

«Quest’anno siamo già a trentamila, tra tutti i nostri tipi di prodotti. Ma possiamo tranquillamente ad arrivare a diecimila pezzi al mese. Sempre garantendo la massima qualità».

Centrato il punto: come?

«Intanto sapendo scegliere i prodotti, con competenza. Un frutto deve essere trasformato al momento giusto. Se troppo maturo, va scartato, altrimenti guasta il risultato finale. Poi con il giusto, minimo dosaggio dello zucchero, di barbabietola grezza; quindi ci vuole un tocco di limone biologico, essenziale per l’acidificazione e la conservazione del prodotto. Ovviamente anche i processi lavorativi sono fondamentali: la nostra macchina, ad esempio, trita la buccia di un frutto, senza scartarla, così da preservarne il sapore. Ultima cosa: lavoriamo a basse temperature, e ciò evita di distruggere i valori nutritivi e garantisce il mantenimento dei sapori».

E in pentola, oltre alle marmellate ed alle salse, cosa bolle?

«Vogliamo raggiungere i borghi più piccoli e lontani, quelli che si sono svuotati nei servizi e nelle offerte. Per questo abbiamo preso un furgoncino, collegato al negozio, che porti in giro i nostri prodotti. Ma non solo. Ci interessa capire se presso quei singoli borghi vi sono situazioni di marginalità, di isolamento, e dare un contributo per risolvere le questioni più delicate. A fianco a questa iniziativa ve n’è un’altra».

Quale?

«L’Officina è capofila di una nuova iniziativa che coinvolge altre sette realtà, cioè l’Agricoltura sociale 3.0. Serve a contrastare le nuove povertà, dando rilievo a ciò che può servire al tessuto economico del territorio. Una scommessa sulla quale crediamo molto».

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