ESCLUSIVA - Giuseppe Castagna: «Per Banco Bpm un futuro di crescita: in tre anni utili a 1,4 miliardi, forte spinta sulla banca digitale»
Parla l’ad del terzo gruppo bancario italiano. Fusioni? «Per ora il sistema pensi a generare profitti, poi si vedrà»
Milano
L’appuntamento è per le nove del mattino a Milano in piazza Meda, negli uffici della sede centrale del gruppo Banco Bpm. Giuseppe Castagna, amministratore delegato della terza banca del Paese, ci accoglie con un caffè. Poi si concede alle nostre domande. In settimana è stato a Lodi per la tappa lodigiana del road show, nel quale ha incontrato, oltre ai colleghi della Direzione Territoriale Bpl, clienti e imprenditori del territorio.
Dottor Castagna, Banco Bpm ha chiuso il 2022 con un utile netto di 702,6 milioni di euro e ha annunciato un dividendo di 23 centesimi per azione. Sei anni fa, in vista della fusione tra Banco Popolare e Banca Popolare di Milano, un risultato così era immaginabile?
«Lo scenario macroeconomico è stato complesso: guerra, costo dell’energia, delle materie prime e inflazione hanno reso difficoltoso l’inizio del 2022. Invece, come per la pandemia, in quel caso con il supporto del governo, gli imprenditori hanno dimostrato di avere capacità straordinarie, confermando così che nei momenti di crisi le aziende italiane sono quelle che reagiscono meglio, più velocemente, con più idee e più capacità, riuscendo a destreggiarsi nelle situazioni più difficili. Questo ci ha dato un grosso vantaggio e lo dimostra la crescita del Pil in Italia sia nel 2021 sia nel 2022, quando addirittura siamo cresciuti il doppio di Germania e Francia. I dati macro quindi confermano quanto noi osserviamo sul territorio e tutto questo ci fa guardare al futuro con ottimismo. La domanda di credito è ancora alta perché le imprese stanno crescendo e i bilanci dell’ultimo biennio sono molto buoni: quindi c’è spazio per investimenti, acquisizioni e sviluppo del fatturato. Per quanto ci riguarda, abbiamo chiuso il 2022 con risultati a livelli record. Se lo consideriamo al netto delle componenti straordinarie, l’utile netto ha raggiunto gli 886 milioni di euro, circa il 25 per cento in più rispetto al 2021. Visto anche l’andamento dei tassi pensiamo di poter quasi raddoppiare questo risultato nei prossimi tre anni arrivando a un utile di 1 miliardo e 400 milioni. È vero che l’aumento dei tassi potrà influire sulla qualità del credito, ma credo che un livello intorno 3-3,5 per cento sia ancora sostenibile».
Quanto sta delineando significa una maggior soddisfazione anche per gli azionisti. Voi ne avete ancora molti di piccole dimensioni.
«Gli azionisti oggi sono soddisfatti. Siamo il titolo bancario europeo che negli ultimi due anni è cresciuto di più. Abbiamo avuto una performance al di là delle aspettative con raccomandazioni di acquisto da parte delle principali case di investimento europee, che riflettono la prospettiva di redditività a cui noi riteniamo possibile arrivare».
È stata una traversata nel deserto, forse più complicata di quello che ci aspettavamo. I crediti problematici sono scesi da 30 a 4,8 miliardi e, tenuto conto dei flussi successivi, in totale ne abbiamo smaltiti 33 miliardi in sei anni
Sono passati sei anni dalla nascita di Banco Bpm. È stato un periodo complesso perché avete dovuto smaltire una mole ingente di crediti deteriorati. Che giudizio può dare?
«Siamo molto orgogliosi. È stata una traversata nel deserto, forse più complicata di quello che ci aspettavamo. I crediti problematici sono scesi da 30 a 4,8 miliardi e, tenuto conto dei flussi successivi, in totale ne abbiamo smaltiti 33 miliardi in sei anni. E mentre altre banche hanno dovuto ricorrere ad aumenti di capitale per ridurre l’ammontare dei loro crediti deteriorati, noi ci siamo riusciti attraverso la generazione di profittabilità interna. Questo ha creato i presupposti per far triplicare il prezzo del titolo in questi anni».
La filosofia di una banca fortemente radicata nel cuore produttivo del Paese e in particolare in Lombardia, Veneto e Piemonte resta valida?
«Resta valida perché si è dimostrata vincente. Ai colleghi, anche nei road show, dico sempre che i primi a credere nel nostro progetto sono stati i clienti. Il nostro approccio è quello di essere una banca che può competere con le più grandi (Intesa Sanpaolo e Unicredit, ndr) per offerta di servizi, qualità, attenzione al cliente, velocità di risposta, gamma di prodotti e al tempo stesso è radicata fortemente sul territorio, tant’è che abbiamo conservato i marchi territoriali. Vogliamo essere percepiti dagli imprenditori sia come la loro banca di famiglia, con cui gestire l’ordinario, sia come il partner bancario di riferimento che è in grado di supportarli nelle operazioni e nelle fasi più complesse delle loro aziende. Questa è una leva sulla quale puntiamo molto».
Per la clientela privata penso che i marchi storici come Banca Popolare di Lodi siano ancora importanti, perché buona parte di essa si riconosce ancora nella propria banca, quella che magari è stata vicina alla loro famiglia per generazioni
In un mondo sempre più globalizzato, i singoli brand - penso al marchio Banca Popolare di Lodi - rappresentano ancora un valore?
«Dal punto di vista delle imprese direi meno di prima, ormai siamo riconosciuti come un gruppo bancario nazionale. Per la clientela privata, invece, penso che i marchi storici siano ancora importanti, perché buona parte di essa si riconosce ancora nella propria banca, quella che magari è stata vicina alla loro famiglia per generazioni. È anche per questo che continuiamo a utilizzare e valorizzare i marchi territoriali».
In quali ambiti pensate di dover migliorare il modello di Banco Bpm?
«Siamo rimasti, con qualche eccezione, l’unica banca del territorio che può competere a livello nazionale. Adesso, dopo un lavoro di ristrutturazione che ci ha impegnati per i primi tre anni, puntiamo a una forte crescita. Dobbiamo liberare tutte le energie che finora abbiamo dedicato a risolvere tante vicende anche non facili. Quella dei diamanti ad esempio ci ha impegnati a fondo per due anni: oggi fortunatamente è alle spalle, abbiamo oltre 22 mila rimborsi individuali, trattando con ciascun cliente, caso per caso. Un altro aspetto che si sta rivelando fondamentale è il digitale: la pandemia ha dato una spinta enorme, siamo passati dall’11 per cento al 35 per cento delle vendite da remoto. Il nostro obiettivo, tre anni fa, era arrivare nel 2024 al 50 per cento, probabilmente lo supereremo».
Nel Lodigiano siamo i primi come quote di mercato. Siamo la terza banca italiana e abbiamo una forte presenza in territori ricchi, forti, vitali, soprattutto al Centro Nord e in Lombardia in particolare. A Lodi siamo un riferimento non solo per i privati e i piccoli imprenditori, ma anche per i settori in maggior sviluppo come quello dell’agroindustria, della chimica e della farmaceutica
Qual è il valore in una banca di respiro nazionale di una realtà come la Popolare di Lodi e l’area lodigiana? Chiaramente non è più la banca di vent’anni fa...
«Nel Lodigiano siamo i primi come quote di mercato. Siamo la terza banca italiana e abbiamo una forte presenza in territori ricchi, forti, vitali, soprattutto al Centro Nord e in Lombardia in particolare. A Lodi siamo un riferimento non solo per i privati e i piccoli imprenditori, ma anche per i settori in maggior sviluppo come quello dell’agroindustria, della chimica e della farmaceutica. Voglio inoltre ricordare che la Direzione territoriale di Lodi è molto estesa e copre province della Lombardia, dell’Emilia-Romagna e della Liguria ed è in procinto di estendersi in tutta la Liguria andando a integrare anche le province del Ponente».
Cosa chiedono i banchieri all’Europa e all’Italia?
«Sono ottimista rispetto ai tassi di crescita del Paese e auspico che registreremo un dato positivo per il terzo anno di fila dopo la pandemia. Detto questo però è necessaria molta cautela perché una spinta al rialzo dei tassi di interesse che abbia solo l’obiettivo di far scendere l’inflazione potrebbe diventare un problema per le aziende e per i privati. Sono stato molto chiaro nel dire che sarebbe stata necessaria una moratoria per i mutui dei privati, che devono far fronte al rialzo dei tassi di interesse e all’effetto dell’inflazione; mentre le imprese mi pare che siano riuscite ad assorbire l’inflazione aumentando i ricavi. È fondamentale quindi una politica della Bce non restrittiva nei confronti delle banche, che anche in questa fase sono chiamate a finanziare l’economia dando carburante agli imprenditori che lo chiedono. Le richieste di adeguamento di capitale da parte della Bce al sistema bancario europeo diventano sempre più incalzanti e rischiano così di limitare le risorse da destinare all’economia reale. La Bce si muove come regolatore, ma la politica deve preoccuparsi che non vi siano impatti sullo sviluppo economico».
Abbiamo raggiunto una certa stabilità anche perché molte banche sono già state acquisite o integrate in altre. Penso sia giusto per tutti gli intermediari finanziari sfruttare questa fase positiva per raggiungere buoni risultati. Successivamente sarà possibile valutare l’opportunità di procedere con ulteriori aggregazioni.
L’attuale assetto bancario italiano può essere definito stabile? Sul fronte aggregativo potrebbe innescarsi qualche altra operazione?
«Abbiamo raggiunto una certa stabilità anche perché molte banche sono già state acquisite o integrate in altre. Adesso il mercato è formato da due banche grandi, forti e con obiettivi molto diversi, poi c’è Banco Bpm e altre banche, tra cui le straniere, che costituiscono un nutrito e valido supporto alla crescita economica del Paese. In questo contesto, la nuova situazione dei tassi di interesse dà un aiuto a tutti: fino a qualche tempo fa, con i tassi negativi, per assicurare una crescita alla banca erano necessarie le aggregazioni per poter far leva sulle sinergie dei costi. Oggi la crescita dei tassi d’interesse, che significa fare 15, 20, 30 per cento di ricavi in più all’anno, costituisce un incentivo a proseguire da soli, senza dover ricorrere necessariamente a fusioni bancarie che, anche per la supervisione molto rigorosa della Bce, rimangono operazioni impegnative. Penso quindi sia giusto per tutti gli intermediari finanziari sfruttare questa fase positiva per raggiungere buoni risultati. Successivamente sarà possibile valutare l’opportunità di procedere con ulteriori aggregazioni. Per adesso, lo stato di salute dell’economia e delle banche è tale che quest’ultime possono assicurare il loro sostegno alle famiglie e al tessuto produttivo anche nella formazione attuale».
Qual è il rapporto con Crédit Agricole?
«Direi molto positivo. Oggi Crédit Agricole è sia un azionista industriale sia un nostro importante partner commerciale. Come essi stessi hanno dichiarato, tra i loro obiettivi c’è quello di rafforzare la presenza in Italia, che costituisce il loro secondo mercato, attraverso partnership basate sulle fabbriche prodotto. Infatti, oltre a essere già nostri partner nel credito al consumo con una quota del 61 per cento in Agos, in questo momento stiamo lavorando con loro su una nuova joint venture nel ramo danni assicurativo, esito d’un approfondito processo di selezione svolto fra le più grandi case di assicurazione internazionali in cui l’offerta formulata da Crédit Agricole è risultata la più vantaggiosa».
Banco Bpm però ha anche altri azionisti importanti...
«È vero. Crédit Agricole non è l’unico azionista importante. Nel capitale sociale di Banco Bpm abbiamo una compagine di azionisti istituzionali, tra cui fondazioni e casse di previdenza, alcuni dei quali sono uniti da un patto di consultazione di cui siamo molto soddisfatti perché costituisce un nucleo stabile la cui presenza è importante per i nostri progetti futuri. E, al tempo stesso, ci auguriamo che anche questi azionisti possano sostenere la lista presentata dal Consiglio nella prossima assemblea».
Qual è il rapporto tra la banca, fondazioni e altri enti istituzionali?
«È senza dubbio un rapporto storico. Molte delle nostre banche infatti avevano una fondazione come socio di riferimento. Oggi di queste sono rimaste quelle di Lucca e di Alessandria. Le altre fondazioni sono invece arrivate nel tempo: la nostra presenza e la nostra azione sui territori ha fatto sì che molti di questi operatori si avvicinassero a noi perché condividono sia il nostro approccio di banca del territorio sia la qualità dei risultati che siamo riusciti a concretizzare in termini di remunerazione per gli azionisti. In questo modo si crea un circolo virtuoso: noi svolgiamo bene il nostro ruolo di banca sui loro territori, remuneriamo il loro investimento cosicché possano finanziare la loro attività. Inoltre, negli ultimi tre anni si sono aggiunti in qualità di azionisti anche una serie di enti di previdenza che rappresentano un motore straordinario per l’economia del Paese».
Poi ci sono le fondazioni che operano sui territori al fianco del terzo settore e in ambito benefico, come la Fondazione Banca Popolare di Lodi. Hanno un futuro?
«Ne sono convinto. Queste fondazioni nascono storicamente come emanazioni delle banche popolari che insieme hanno fondato Banco Bpm. L’idea era quella di costituire sui nostri territori, in cui non c’erano ancora o non erano più presenti, delle realtà che fossero in grado di intervenire concretamente in settori chiave quali l’assistenza sociosanitaria, l’educazione, l’istruzione, il culto, le attività ricreative, la ricerca scientifica e l’ambiente. Oggi Banco Bpm, in forza di norme statutarie, ha la facoltà di distribuire una parte degli utili annuali a queste fondazioni che operano con il terzo settore e sono in grado di individuare le esigenze dei contesti locali. Lo fa bene la Fondazione Banca Popolare di Lodi che, grazie anche al lavoro del presidente Duccio Castellotti, continua a essere un punto di riferimento molto importante per il Lodigiano. Concludo rammentando che alla prossima assemblea dei soci verrà proposta la destinazione di 3 milioni di euro per l’attività delle fondazioni nei loro territori di riferimento; di questi, l’11,6 per cento andrà a quella di Lodi».
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