Dalla terra piemontese a Sant’Angelo: «Siamo ciò che mangiamo»

Agricoltura biologica e vendita diretta di Francesco Ozzimo alla cascina Mottina

Da uno come Francesco Ozzimo, originario del Piemonte («Sono nativo di San Mauro Torinese, ai piedi della collina di Superga»), orticoltore - i campi da fare rendere a Bargano di Villanova Sillaro, il gazebo presso cui vendere i propri raccolti presso la cascina Mottina, alle porte di Sant’Angelo Lodigiano - so già che ci tornerò in altre occasioni: certe amicizie si addentrano persino nei silenzi, quando sanno mettersi in relazione.

Francesco ha 41 anni, e parla con meditata lentezza: sembra scegliere le parole una ad una, si intuisce che certe volte gliene verrebbero altre, ma ha il dono di saperle scartare e di privilegiare quelle più appropriate, con naturalezza. Indossa un cappello di paglia, ha occhi vivaci, la barba vigorosa su cui i primi fili bianchi riverberano la saggezza di un vissuto che deve avergli lasciato nell’anima più di un’impronta, o di un graffio. Calza ai piedi un paio di scarpe marroni e robuste ai cui lati sono incisi due fori: il ricordo antico ed atavico di un sandalo senza esserlo.

Chi è quest’uomo, mi chiedo, e da quale cammino arriva?

Francesco è accogliente, al di là della limonata che mi offre. Altri avrebbero chiesto se avessi voluto un caffè. Francesco taglia due limoni e mescola il loro succo con acqua. Ma che sia ospitale lo si capisce da altri particolari; giungono al gazebo alcuni clienti: tra domanda e offerta si insinuano le curiosità quotidiane della vita, quando ci si saluta è già occasione di nostalgia, so intuirlo.

Mi incuriosisce quest’uomo.

È un tipo particolare, diverso, non omologato, e a cui credo non dispiaccia offrire questa sua diversità. Anche sul cibo propone una sua visione, netta: «Siamo ciò che mangiamo», mi ripeterà più volte.

Non si può dire che tu coltivi e venda soltanto i tuoi ortaggi. Mi sembra infatti di capire che vi sia dell’altro.

«Questo progetto è nato da un incontro. Nel 2012 ho conosciuto Caterina ad un ritiro di meditazione: ci trovammo in sintonia e decidemmo di creare qualcosa non solo per noi, ma che comprendesse anche il bene per altre persone, per offrire la possibilità a chi è in ricerca di conoscere un punto di vista differente attraverso il quale vedere e vivere la vita».

Per esempio?

«Un agriturismo olistico, un luogo cioè dove fare convergere la terra ed il cielo, unendo la nostra parte spirituale ad elementi concreti, compreso ovviamente il mangiare sano».

È così importante?

«È fondamentale. Noi siamo anche quello che mangiamo. Quindi è necessario vivere nutrendosi con cibo sano e naturale e con un ritmo più sostenibile, connessi alla natura, e dando più spazio e attenzione alla crescita interiore spirituale».

Mi sembra i discorsi di un guru, Francesco!

«Assolutamente no, non faccio parte di alcuna setta, né aspiro a quel titolo! Ho solo avviato una ricerca personale che conduce all’equilibrio interiore tra corpo, mente e spirito. E quindi allo stare bene grazie ad una buona salute. E dove il cibo ha una valenza, appunto, essenziale».

Siamo ancora nel 2012. Cosa è accaduto poi?

«Abbiamo lasciato i nostri rispettivi lavori, Caterina ed io, e ci siamo messi a studiare su come valorizzare il respiro, approfondendo su come lavorare con il respiro consapevole, il benessere interiore, attraverso il suono, ad esempio, e soprattutto con una buona e naturale alimentazione. Abbiamo perciò fondato un’associazione culturale e successivamente ci siamo messi a cercare un posto dove mettere le nostre radici».

E siete così arrivati a Sant’Angelo Lodigiano.

«Sì, dopo molte peripezie qui ha avuto avvio la realizzazione dei nostri progetti: produco verdure biologiche, assolutamente certificate, e ho aderito ad un programma di agricoltura sociale, inserendo quest’anno un ragazzo senegalese, che mi aiuta nelle lavorazioni. Poi, due giorni alla settimana, il mercoledì ed il sabato, dalle 9 alle 19, abbiamo la vendita diretta al pubblico. Verdure e frutta sono di stagione, poi ho altri prodotti di aziende biologiche del territorio lodigiano».

Come siete stati accolti?

«Direi molto bene. D’altra parte essere una piccola realtà obbliga necessariamente a dare il meglio. Caterina purtroppo è mancata ad ottobre del 2022, ma questa impresa rispecchia il ricordo della sua tenacia e della sua forza».

Ne sono certo, Francesco.

«Grazie».

Quali ortaggi privilegi nella coltivazione?

«Le classiche verdure di stagione, in pieno capo, senza cioè serre o tunnel: quindi, erbette, coste, zucchine, cipollotti, aglio, barbabietole, a breve anche pomodori e melenzane…tutto biologico!».

Ma cosa vuole dire produzione biologica?

“Senza l’utilizzo di prodotti chimici, diserbanti o pesticidi. È da considerare pure il lavoro manuale: il trattore lo usiamo poche volte all’anno, giusto per i lavori di preparazione del terreno. Piantiamo e raccogliamo tutto a mano. La gente che acquista e assaggia i nostri prodotti ha più volte commentato come sentano ancora i sapori ed i gusti dell’orto del nonno».

È possibile ipotizzare una tavolata, pranzo o cena, solo a base di verdure?

«Vi sono un’infinità di ricette di questo tipo. Potrei proporre delle frittelle con i fiori di zucchina, piuttosto che un carpaccio di barbabietole, od ancora una semplice ma gustosa insalata di pomodorini, cipollotti e friggitelli, che te ne pare?».

Friggitelli?

«Sono dei piccoli peperoni, dolci e croccanti. Oppure un piatto di tenerumi, cioè le foglie delle zucchine lunghe siciliane; oppure le patate con la buccia commestibile, che hanno un sapore delicato ma che suscita energia. Le patate hanno un potere nutrizionale molto evidente, è storicamente provato. E le verdure fanno bene a olfatto, vista, tatto. Devo insistere?».

Noi siamo ciò che mangiamo!

«Esattamente. Ma voglio aggiungere una cosa: il cibo costa fatica farlo, e va rafforzato l’impegno contro lo spreco alimentare. Noi, per esempio, il nostro invenduto lo diamo ad un laboratorio specializzato, che ce lo restituisce sotto forma di marmellate, o di sughi, certe volte anche succhi, e che si possono inserire, per esempio, nei cesti natalizi, che proponiamo su prenotazione, o vendere anche autonomamente».

Hai altri progetti nell’immediato futuro?

«Ne ho alcuni. Per esempio, iniziare a promuovere in cascina eventi olistici: un bagno di gong, esperienza di viaggio attraverso il suono e le vibrazioni, o collaborare con altre realtà del settore. Avviare una fattoria didattica: noi vogliamo essere uno spazio aperto per idee e progetti. Se vuoi ti svelo un segreto».

Dimmi, ma solo se posso scriverlo.

«È legato alla rapa bianca lodigiana. Sto collaborando con la costituenda condotta slow food, qui nel territorio, per mantenere in vita la coltivazione della rapa bianca piatta lodigiana, che è a rischio di estinzione».

L’iniziativa mi sembra lodevole.

«Io credo che sia fondamentale preservare le trazioni e lavorare in rete, a livello sociale ed educativo. Il mio obiettivo è anche creare un feeling con i ristoratori della zona, che in parte già serviamo e questi ultimi hanno riconosciuto la qualità delle nostre verdure».

Ma le verdure sono più adatte ai primi o ai secondi, a tuo avviso?

«Vanno bene per entrambe le proposte. Per esempio, un piatto di pasta con le zucchine gialle e verdi, grattugiate a fiammifero, con tocchetti di pancetta, coniuga la tradizione con l’originalità».

Per un contorno?

«Consiglierei un ortaggio magari diverso dal solito: il kale riccio viola, parente del cavolo nero, saltato in padella è molto gustoso. Oppure le zucchine gialle, che hanno un gusto più dolce di quelle classiche».

Qual è la cosa più difficoltosa che incontri nell’affrontare il tuo lavoro?

«Ciò che non dipende dal mio controllo diretto: ad esempio, le condizioni atmosferiche. Il clima è molto cambiato negli ultimi anni. Ci si interroga tanto sui comportamenti sbagliati, ma credo che in questa direzione vadano fatti ulteriori approfondimenti».

E la cosa che invece ti piace maggiormente?

«Fare da mangiare per le persone è al tempo stesso una responsabilità etica e morale, un compito importante: l’amore, l’impegno che ci mettiamo nelle coltivazioni deve sentirsi. Quando me lo riconoscono ne sono onorato, mi emozioni, ed è la ricompensa più grande dopo tanta fatica, la spinta a continuare con questo mio lavoro che trovo affascinante e magico».

In che senso?

«Se ci pensi, partendo da un semplice piccolo seme, con cura e passione nasce una pianta dalla quale si ottengono ottimi frutti, e questo è un miracolo, una prova lampante dell’esistenza di qualcosa più grande di noi, che ringraziamo ogni giorno per ciò che di dà».

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