“L’orso in cucina”: «A Lodi un potenziale enorme»

LA CUCINA DELL’ANIMA Il blogger Alex Li Calzi, da vent’anni in città, tra ricette sul campo e Instagram

Mi incuriosiscono le figure dei blogger e osservo con attenzione chi svolge il ruolo dell’influencer. Ma sono della vecchia scuola: per scegliere una cosa devo verificare di persona. Ammiro chi sa mettersi in gioco e camminare sul filo: la notorietà è un rischio, i consensi volubili, oggi si guarda tutti verso una direzione, e domani se ne sceglie un’altra: il mondo è sempre stato così, e gli strumenti social ne sono un estremo quantomai fatuo.

Ha quindi suscitato la mia curiosità il blogger siciliano Alex Li Calzi, noto per la sua pagina Instagram “L’orso in cucina”, da oltre vent’anni residente a Lodi. Mi è stato riferito - da persone di cui mi fido - che ai fornelli è proprio bravo. Ma a me importava soprattutto capire la relazione tra lui, il cibo, e tutto questo particolare universo social, che resta effimero e virtuale. Gli attuali 41mila suoi follower sono numeri che mi sorprendono e che mi lasciano al tempo stesso indifferente: come si diceva una volta dei soldi, vanno e vengono.

Li Calzi è anche uomo di spettacolo, e numerose realtà locali lo cercano per promuovere eventi enogastronomici, legati soprattutto alle tradizioni dei relativi territori: viaggia molto, e di ogni luogo sa immediatamente valorizzare le peculiarità, è indubitabile che abbia una sorta di sesto senso, un fiuto speciale nel sapere raccontare le cose.

Siamo stati insieme un paio d’ore, e ha parlato ininterrottamente; di tutto ciò che mi ha detto, una frase soprattutto ha continuato ad echeggiarmi in testa, cioè questa: il cibo è conforto.

E credo che, al di là delle serate in tante piazze d’Italia, delle scenografie molto curate che risaltano nei video pubblicati sulla propria pagina, delle accattivanti immagini su un libro di discreto successo da lui pubblicato, il cibo sia un conforto soprattutto per lui: mi dà l’impressione di una persona che abbia saputo imbroccare una strada, ma che davanti a ciascun nuovo bivio potrà intraprenderne una ancora migliore, come gli auguro, o viceversa smarrirsi in un percorso senza sbocchi: ma il cibo è, naturalmente, il suo conforto. Credo che se la materia prima - appunto il cibo - rimarrà protagonista, allora, ricaverà molte soddisfazioni, se viceversa prevarrà il proprio ego, una qual evidente sua eccentricità, avrà vissuto qualche momento di gloria, ma sprecato il potenziale che il suo progetto gastronomico tende a valorizzare.

Food blogger e chef per caso, Alessandro?

«Preferirei dire: grazie alle circostanze della vita. Lavoravo a Melegnano in una comunità residenziale per anziani svolgendo assistenza ai disabili. Però, per pura passione, apprezzando la buona cucina, avevo cominciato a proporre qualcosa sui social. Poi ho conosciuto la responsabile del sito Giallo Zafferano, a quel tempo il terzo più importante al mondo nell’occuparsi di cucina, e mi è stato proposto un lavoro redazionale. Conclusa questa esperienza ho valorizzato il mio impegno diretto sui social e la mia pagina Instagram è divenuta uno strumento fondamentale per veicolare tutto quello che possa concernere la qualità e l’eccellenza del cibo».

In che modo?

«Un valore fondamentale è il linguaggio, che deve essere caloroso, esprimere la passione per il cibo: le proposte devono essere accessibili a tutti quello che vogliono cimentarsi ai fornelli. Puntare alla stagionalità dei prodotti non è solo un modo di dire: in pieno inverno non troverai un mio video che promuove una parmigiana di melanzane, piatto tipicamente estivo».

La tua pagina Instagram contiene tanti video di viaggi.

«Ho scelto di viaggiare intanto per differenziarmi da altri contenitori che trattano lo stesso argomento. Poi, fuori dal tuo giardino, trovi un’infinità di eccellenza che meritano di essere conosciute. Il cibo è anche cultura. Penso che il meglio della cucina sia espresso nella civiltà contadina, proprio quella rurale, che non si sposta: devi essere tu a trovare quei luoghi, quelle cose per cui vale la pena scoprire il senso profondo del viaggio. Non c’è poi bisogno di andare troppo lontano».

Cosa intendi?

«A Crema collaboro con un agriturismo e stiamo promuovendo i week end in relazione alla bellezza della zucca: curo tutto, dalla scenografia degli ambienti, ai cibi, alla stessa atmosfera. L’anno scorso abbiamo fatto oltre mille coperti. L’obiettivo è confermarli e superarli».

E a Lodi?

«Qui c’è un potenziale enogastronomico enorme. Non mi capacito sui motivi per cui non si lancino sfide importanti. Relativamente al formaggio abbiamo aziende di trasformazione del latte che hanno fatto la storia di questo territorio, eppure della raspadüra non si è mai fatto un marchio di spessore internazionale. Anche le sortite fuori territorio di questo prodotto non hanno avuto la forza che questo formaggio meriterebbe. Qualche idea ce l’avrei, che cercherò di valorizzare in futuro: quindi non chiedermele».

C’è un primo piatto, a marchio lodigiano, che valorizzeresti?

«Un risotto pannerone e pere, e hai salvato l’identità. Però occorrerebbe andare oltre al risotto: penso ad un piatto di pasta con i formaggi lodigiani, pannerone, gorgonzola, grana o raspadura, e mascarpone. Come blogger lancerei un sondaggio: lodigiani, in quale pasta identifichereste maggiormente il vostro territorio? La promozione può partire dalla base, anzi, avrebbe sicuramente più successo. Poi, se devo dirti un mio primo preferito, ti dico le lasagne con la raspadura: offre una cremosità incredibile».

E un secondo sempre con marchio lodigiano?

«Una frittata rognosa, cioè con salsiccia e raspadura, quest’ultima in abbondanza. Poi, punterei molto sulle carni degli allevamenti lodigiani, ad esempio un brasato, modalità francese, servito cioè con vino rosso, funghi e cipolline».

A proposito di vini: un suggerimento?

«No, nella mia pagina non curo i vini, non sinora almeno. Si beve ciò che più si apprezza: il cibo, dopo tutto, è confort e piacere».

In che senso?

«Tranne che non mangi per sopravvivenza, a casa si prepara ciò che più fare stare meglio, si cerca nel cibo un momento confortevole, che non affatichi nella preparazione, che faccia stare bene. Ma se si vuole qualcosa di più stuzzichevole, e si sa di non possedere le abilità per realizzarlo con facilità, allora si mangia fori, magari in compagnia di amici: e quello è il momento del piacere».

Ci inventiamo un dolce del luogo?

«Mi pare che a Lodi vi sia già un’eccellente specialità che per questioni particolari non può nominarsi, ricordo bene. Ecco, con il dolce davvero si identifica un luogo, si consolida una tradizione, un’epica: il dolce qui c’è già, perché inventarsene un altro?».

Un ingrediente locale di cui non ci rendiamo conto della sua forza?

«Il mais. Certo, deve piacere la polenta. Secondo me della produzione se ne destina troppo ad uso zootecnico. In tavola se ne possono fare diversi usi. Io lo utilizzo molto quando faccio piatti messicani. Inoltre, mi piace mangiare la pannocchia, prima lessata, poi grigliata col burro sopra che si scioglie e si insinua fra i granelli: spettacolare».

Prossima meta del blogger?

«Sinora mi era mancata la televisione, ma la comincerò a breve in un canale satellitare».

Lo sai che siamo colleghi? Anche io sto preparando un libro sul cibo.

«“Cartoline dalla mia Sicilia” (Trenta edizioni, ndr) ha venduto sinora oltre 1500 copie: una bella soddisfazione. Io sono contro ogni forma di individualismo: quindi, se posso darti qualche consiglio, lo farò volentieri; per ora comincia a seguire la mia pagina Instagram, “L’orso in cucina”».

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