Nel regno dei Carena: qui nasce il Pannerone

Angelo ci guida nel caseificio di Caselle Lurani, tappa obbligata per i buongustai

Invece che in ufficio, seppure con il confort di una scrivania ampia e spaziosa, avremmo dovuto farla direttamente allo spaccio questa lunga e piacevole chiacchierata con Angelo Carena, perché un conto è parlare di formaggi, un altro è vederli, annusarli e gustarli. E sarà perché questa pagina è dedicata al cibo che, mentre Angelo parla, spiega e disquisisce su crescenze e ricotte, provo ad immaginarlo davanti ad una tavolata, di quelle che venivano disegnate sulle pagine delle fiabe sonore, riccamente imbandite, e confrontare così aspettative e progetti, desideri ed utopie, cose ben fatte ed altre smarrite.

Mi piace questo suo modo di raccontare: sempre con gusto pieno, con autentica passione per ciò che fa, la concretezza operosa e gli occhi sfavillanti di curiosità, perché ogni cosa è diversa, oppure tutto può anche essere uguale eppure mai monotono, e questa intervista davvero dovrebbe andare oltre sino a sfociare in un’amicizia.

Angelo Carena, lo stesso nome del nonno fondatore del caseificio, qui a Caselle Lurani.

«Il nonno, che era originario di Camairago, e inizialmente faceva il casaro spostandosi di cascina in cascina, giunse qui nel 1924. Ebbe cinque figli, di cui due continuarono l’attività casearia: Antonio e Siro. E, dopo di loro, abbiamo assunto noi, cioè i tre figli di Antonio, la conduzione: con me, infatti, lavorano le mie sorelle Vittoria e Cristina».

Mi sta dicendo che la vostra è rimasta un’impresa famigliare?

«Proprio così. Insieme a noi c’è anche Eleonora, figlia di Vittoria. E abbiamo sette dipendenti, di cui alcuni sono figli di persone che già lavoravano qui: il clima, dunque, è proprio di famiglia».

Che tipi di formaggio avete in produzione?

«Pannerone, mascarpone, ricotta, taleggio, fontal, primosale, crescenza e paste filate. A proposito: lei che viene dal Sud, lo conosce il pannerone?».

Me lo fece assaggiare Angelo Frosio: molto particolare. Ha un senso investirvi?

«Altro che! Il pannerone appartiene alla nostra storia e, credo, a quella del Lodigiano. Fu il primo formaggio realizzato dal nonno; l’unico a non essere salato: è solo latte caldo di mungitura, da coagulare entro due ore per la sua lavorazione. È davvero un formaggio unico ed autentico nel suo genere».

Ne ricordo però un sapore amarognolo, sbaglio?

«Ciò è dovuto alla fermentazione ed alla quantità superiore di caglio rispetto agli altri formaggi. Certo può essere addolcito con il miele o con la mostarda, anche se così se ne indebolisce il sapore. Franco Colombani, del ristorante Il Sole di Maleo, ne suggeriva un consumo particolare: servendolo con granelli di sale grosso».

E lei come lo porterebbe in tavola?

«Con il pane tiepido. Buonissimo».

Non voglio apparirle diffidente, ma avete una richiesta ragguardevole?

«Ce lo chiedono i negozi specializzati, anche la grande distribuzione, i clienti. Persino dall’estero, mentre in Italia le maggiori ordinazioni provengono da alcune regioni tipo: Lombardia, Sardegna e Veneto. Lì dove magari si gustano altri formaggi dai sapori decisi».

E della crescenza che mi dice?

«Prodotti leader nelle vendite, per il nostro caseificio, sono pannerone e taleggio. Quindi la crescenza, che ha una storia molto particolare: la sua produzione fu decisa da mio zio Siro. Solo che prima facevamo, incartata manualmente, le confezioni da 1 kg o da mezzo. Noi invece ci inventammo la Carenina, dal peso di 200/250 grammi, che ha trovato un grandissimo favore nella nostra clientela».

Sempre confezionandola manualmente?

«Certo. Sin dalle origini siamo stati contrari alla plastica. E siamo stati pure degli antesignani: il taleggio lo confezionavamo in carta pergamena e in cassettine di legno. Poi fu detto che non andavano bene. Adesso si vorrebbe tornare al legno».

La crescenza dei Carena è molto conosciuta: qual è il suo segreto?

«Manteniamo il latte al naturale, senza aggiungere nulla. In Veneto, ad esempio, aggiungono panna. Da noi, il latte resta sempre tal quale, quindi, il gusto della crescenza dipende dalla qualità dello stesso: d’estate risulterà più sostenuta, mentre d’inverno avrà un gusto e una consistenza più morbida e pastosa».

È sicuro che chiunque ne saprebbe percepire la differenza?

«Sicuramente assaggiandoli contemporaneamente. Altrimenti dipende da quanto si è intenditori».

E del vostro mascarpone cosa mi dice?

«Ne facciamo una produzione mirata, anche perché è un formaggio che sembra seguire il calendario: durante quasi tutto l’anno ha una richiesta standardizzata, che s’impenna a dicembre perché, come lei saprà, è d’obbligo mangiarlo con il panettone. In realtà c’è chi lo accompagna anche ai meini».

Qual è la sua qualità?

«Si realizza con la panna per noi esclusivamente di latte lodigiano, lavorata in bidoni da 50 litri: su queste basi si ottengono 22/24 kg circa di mascarpone».

Ma il mascarpone è utilizzato solo per i dolci?

«Prevalentemente. Però, va forte anche con il salato: ad esempio per mantecare il risotto, oppure come condimento. Sicuramente lo consiglio per il tiramisù».

Lei fa il modesto, e non mi cita ancora la ricotta, altro pezzo forte del caseificio Carena!

«La realizziamo con il siero di pannerone il cui latte lavorato a 28 gradi lascia nel siero una parte di grasso e proteine superiore alla media, aggiungiamo una piccola quantità di latte, così da poter raccogliere entrambi e fare una ricotta più fine e più morbida».

Per quale utilizzo è in particolare consigliata?

«Sinceramente anche con la pasta: penso ad esempio a ravioli pannerone e ricotta, o con gli spinaci. O per le torte salate. Va bene anche per i dolci ovviamente: sempre per un tiramisù, più magro».

Angelo, credo molto nell’inconscio, e mi sovviene un piatto di cui andavo ghiotto da bambino, e che avevo proprio dimenticato: ricotta con lo zucchero!

«A questo proposito, se vi aggiunge pure una punta di caffè macinato, vedrà che bontà! È vero, ricotta e zucchero, è una proposta datata ma sempre buona».

E le paste filate?

«Sono prodotto con il latte intero. Ad esempio, la provola o come la chiamiamo noi caciotta: più o meno stagionata e l’ideale per insalate di riso, o per le pizze. Ma poi non devo essere io a dirlo».

Mozzarelle ne fate?

«Sì, ma in piccola quantità, vendute solo nel nostro spaccio».

Eppure io se penso al formaggio, mi viene in mente un tagliere, ha presente quello con gli affettati?

«Certo, e i nostri formaggi possono sinceramente starci. Sui taglieri va privilegiata comunque la qualità. Il palato deve apprezzare».

Allora, le lancio una sfida: mi dica i formaggi che apprezza maggiormente, non prodotti da voi, che vorrebbe sul suo tagliere ideale.

«Sicuramente il castelmagno d’alpeggio; oppure un bitto della Valtellina, ma dev’essere quello autentico (lo storico ribelle, per intenderci), lavorato a latte intero e crudo in alpeggio. In questi formaggi devi sentire i profumi ed i sapori dei luoghi d’origine».

Dimenticavo: il latte dove lo prendete?

«Da oltre trent’anni presso un’unica stalla, molto vicina a noi come distanza. Ciò, attraverso la brevità dei tempi per la consegna, garantisce la migliore qualità possibile, anche ai fini della produzione del pannerone, che come chiarito ha tempi di lavorazioni celerissime».

Le nuove generazioni dei Carena saranno coinvolte nel caseificio?

«Me lo auguro. Per ora c’è mia nipote Eleonora. I miei due gemelli sono ancora piccoli: hanno 11 anni. Mi piace però che mi facciano domande e che si rivelino curiosi. Ma non voglio di certo forzarli. Un giorno vedremo».

Cosa non le piace, nel suo lavoro? Sembra sempre così entusiasta…

«Forse un eccesso di problematiche con gli organi di controllo. Subiamo le stesse identiche verifiche dei caseifici molte volte più grandi di noi. E, mi creda, l’incidenza dei costi dei controlli microbiologici è veramente eccessiva, andrebbe meglio tarata sulla produzione artigianale».

La politica dovrebbe risolvere questo aspetto.

«Lasci perdere: tutti parlano ma, stringi stringi, nessuno ha mai applicato una svolta. Poi si pagano le conseguenze: il nostro è un caseificio con una tradizione casearia per prodotti di nicchia, però riceve le multe uguali a quelle dei caseifici industriali, gli stessi che, alla consegna del latte, lo inseriscono in un tubo e poi vedi il risultato solo a prodotto finito. Noi piccoli produttori continuiamo ad alzarci alle 4 del mattino e tutto è sempre lavorato a mano e seguito da persone e non da macchine e computer».

Angelo, ho scritto sulle cascine: mi mancavano le lamentale degli addetti ai lavori!

«Non sono lamentele. È la verità, pura e semplice. Venga, che le faccio assaggiare il formaggio, è meglio…».

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