«Ai fornelli comanda anche il mio istinto»

Fabio Riva di San Colombano guida “L’Incontro” a Casalpusterlengo

Lo chef Fabio Riva, originario di San Colombano al Lambro, titolare del ristorante L’Incontro, a Casalpusterlengo, non può saperlo. Ma un paio d’anni addietro ho mangiato in un locale dove c’era lui ai fornelli. Lo ricordo bene perché gli ambienti moderni hanno spesso questa grande finestra che, dalla sala, rende ampiamente visibile la cucina: vedi il vapore che volteggia sopra i pentoloni e le padelle fatte danzare, con ampie oscillazioni, sul fuoco.

Ricordo pure cosa avevo mangiato quella sera, e una sincera soddisfazione nel soppesare quei piatti: abbondanti, gustosi, densi di sapori.

C’è un’altra cosa che il giovane chef Fabio Riva, (ha appena 25 anni), non sa; e per la quale dovrei anche ringraziarlo: l’idea di questa pagina sul cibo nacque quella sera. M’incuriosiva quel ragazzo, di cui coglievo il desiderio di offrire il meglio di se stesso: lo guardavo attentamente, e mi domandavo quanto di lui avrei capito attraverso i suoi piatti. E adesso eccolo qui, di fronte a me, e so che potrò finalmente chiederglielo. Com’è strano il destino.

Chef Riva, quando hai capito che questo sarebbe stato il tuo lavoro?

«Intanto, la cucina l’ho scoperta da bambino, grazie alla mia nonna materna, Giuseppina: quando trascorrevo delle ore con lei, perché i miei genitori stavano a lungo fuori per lavoro, mi teneva impegnato a fare i dolci; lei bravissima, e i dolci straordinariamente buoni. Doveva trattarsi di una dote di famiglia: anche mia mamma Rosa, infatti, ai fornelli ci sa proprio fare».

Poi hai scelto uno specifico percorso scolastico, giusto?

«Ero indeciso che strada intraprendere: perché mi affascinavano le competenze del nonno, che sulla meccanica sapeva il fatto suo, per lui i camion non avevano segreti. Insomma il bivio era questo: o meccanica o cucina».

Quindi?

«Ho scelto di studiare ristorazione alla scuola Villa Igea di Lodi. Ti faccio una confidenza: pensavo si studiasse meno! Quanto faticoso sia il mestiere dello chef l’ho poi messo bene a fuoco durante gli stage: il più importante l’ho fatto a Villa Del Sogno, a Gardone Riviera; un altro all’Hotel Parco San Marco, a Salò. È stato in queste esperienze che ho capito quanto fosse importante ciò che avevo studiato».

Da qui hai intrapreso il tuo percorso professionale.

«Finita la scuola, ho lavorato per sei mesi in un ristorante del Lodigiano, quindi in un agriturismo del Cremasco, poi sono andato al Botero di Crema, dove ho vissuto un’esperienza formativa molto, molto importante».

Mi occorre una raccomandazione per fare l’articolo su quel locale!

«Non ne hai bisogno. Il locale è sì famoso, ma troverai persone straordinarie: i titolari, infatti, antepongono una sincera umiltà su più fronti, nella gestione della cucina, come nella relazione con i dipendenti, dove fanno in modo che la loro presenza, delicata e premurosa, sia avvertita in ogni momento».

Dopo il Botero di Crema?

«Da marzo a settembre del 2022 ho fatto un’esperienza in un Hotel 5 stelle extralusso in Franciacorta: è stato un momento di verifica, un’acquisizione di autostima molto importante. Lavorare in un hotel, soprattutto quando importante, anche sulla mole dei numeri, è molto diverso che farlo in un ristorante».

In che senso?

«In quelle strutture fai spesso parte di un team di tre, quatto persone, come se il risultato di un piatto fosse relativo ad una catena di montaggio; è facile che gli equilibri di relazione ne risentano: occorre possedere molto self control».

Altra tappa?

“Dopo un’altra breve esperienza, a settembre dell’anno scorso sono venuto a Casalpusterlengo, rilevando questo locale, che prima era gestito da due persone che chiudevano i battenti per via del proprio pensionamento».

Così giovane, non hai avuto nessun timore a metterti, come suole dirsi, in proprio?

«I miei genitori sono stati eccezionali nell’incoraggiarmi. Mio padre ha fatto valere il suo senso di lungimiranza: mi ha sempre insegnato a guardare in prospettiva. Noi siamo una famiglia molto unita, anche mio fratello Marco, che ha scelto la meccanica, ogni tanto mi dà dei suggerimenti che si rivelano preziosi».

Angolo della marketing: dai un motivo per venire a mangiare a L’Incontro.

«Guarda, i miei piatti possono apparire comuni, sicuramente anzi lo saranno, ma mi auguro che risalti la genuinità dei prodotti di prima qualità che scelgo accuratamente. Io ci tengo che rispecchino la mia personalità».

Andiamo a mangiare, allora, almeno virtualmente. Lo chef che antipasto propone?

«Premesso che il menu cambia ogni mese e mezzo, anche per apportare le novità e non essere ripetitivi, come antipasto potresti scegliere qualcosa con il pesce».

Ad esempio?

«Un salmone marinato con succo alla barbabietola, che fornisce al pesce un colore più intenso ed un retrogusto più deciso».

Ottimo. Ma se c’è un cliente a cui non piace il pesce?

«Allora, proporrei un’insalatina di coniglio con verdure croccanti, a crudo, condite con olio, sale e aceto, e maionese all’arancia».

Come primo?

«Un risotto con crema di peperoni rossi, burrata ed acciughe del Cantabrico. Oppure, tagliatelle con cime di rapa, vongole e bottarga; un piatto inventato da me, con la collaborazione di Lorenzo, che è il mio braccio destro».

Andiamo ai secondi.

«Un calamaro ripieno, con patate, scarola, uvetta e pinoli, accompagnato da un involtino di radicchio gratinato. Oppure una costoletta d’agnello alla milanese con patate dolci al burro».

Vedo che il pesce torna sempre sui tuoi piatti.

«Credo che un ristorante debba essere completo nelle offerte, anche con piatti vegetariani, o senza lattosio, il mio desiderio è quello di avere alternative in una vasta gamma di proposte, le une assai differenti dalle altre».

Non tutti gli chef ho scoperto amano cucinare i dolci.

«Mi sto perfezionando nel farli. D’altra parte nella mia cucina dobbiamo essere fungibili, ciascuno deve sapere fare tutto. Ti propongo una sbrisolona con mousse al cioccolato bianco, marroni glassati e granella di lime. Oppure una pera cotta al vino rosso, con mouse al cioccolato fondente ed amaretti».

Da come presenti i piatti capisco che sei una persona molto determinata.

«Sì, sono un ragazzo deciso, interpreto i miei umori, mi lascio guidare certe volte dall’istinto. La cucina risente di molte variabili, a queste si aggiungono le diverse situazioni che si vivono in sala: bisogna avere la giusta serenità per risolvere ogni imprevisto».

Hai aperto L’Incontro da meno di sei mesi. Come vanno le cose?

«Sono molto contento. Anche a mezzogiorno abbiamo di pranzi di lavoro, con diverse modalità e proposte, a prezzi contenuti. In queste proposte si mantiene la qualità della materia prima e un ottimo impiattamento».

È una moda passeggera questa di presentare il piatto in modo gourmet?

«Lo ritengo importante, ma non può essere l’unico elemento: l’assaggio resta quello fondamentale. Però il modo di servire ha il suo significato: il cibo deve essere già bello da vedere».

Te ne intendi di vini?

«Per forza, bere bene è un valore per chi va al ristorante. Noi abbiamo un maitre, e un addetto alla sala, ma certe sere viene anche un sommelier: impariamo tutti da lui, anche io. Consigliare il cliente è giusto, ma credo che quest’ultimo sappia sempre già cosa vuole al tavolo: inutile convincerlo del contrario, anche se il consiglio, se richiesto, va ovviamente dato».

Chef, dove ti vedi tra venti anni?

«Vivo alla giornata, non amo fare film nella mia mente. È il futuro che deve parlare a me, e non viceversa. Posso desiderare di rimanere qui a Casalpusterlengo: consolidare questo posto come meta per chiunque ami la ristorazione, questo potrebbe essere un obiettivo. Anche perché io ho un desiderio».

Quale?

«Realizzare una squadra che si fidi di me, che si lasci guidare».

Ma non si dice brigata?

«Sì, ma una brigata deve operare da squadra, ciascuno con il proprio compito, a sostegno e a supporto dell’altro».

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