Alla tavola di Abbas tra i profumi d’oriente

LA CUCINA DELL’ANIMA Tappa a San Donato Milanese al ristorante libanese “La Phoenicia”

Insiste, in maniera garbata e convincente. Ed io non so sottrarmi al suo invito accogliente. Conosco il valore dell’ospitalità, sottrarvisi sarebbe una scortesia.

Mi trovo al ristorante La Phoenicia, a San Donato Milanese, sono ospite del titolare Abbas Ahamd, libanese, uomo ricco di sfaccettature: imprenditore con un’oculata visione sui processi economici (a cinque anni accompagnava il nonno al mercato ortofrutticolo di Beirut, imparando a fare di conto, sveglissimo nelle dinamiche offerta-acquisto-guadagno), di ricchissima cultura (parla sette lingue), un motivatore (lo chef è importante, come lo è il cameriere ultimo arrivato), uomo di fiducia nonché oramai amico di principi e sceicchi (per i quali cura i ricevimenti nei loro lussuosi yatch, arrangiandosi anche nella pesca subacquea), padre premuroso di due ragazzi che studiano Ingegneria (potrebbero vivere nella bambagia i ragazzi ma guai a non trovare la propria strada).

Abbas, grazie dell’invito: è un onore che tu sia alla mia tavola, a dedicarmi il tuo tempo.

«Staremo insieme un paio d’ore, poi devo andare in palestra. Tutto il mio staff fa sport: aiuta a liberare la mente, ad avere obiettivi, a ragione come squadra. Spero tu possa apprezzare la cucina libanese. Penso che voi italiani abbiate la cucina migliore del mondo. Ma subito un gradino sotto c’è quella nostra. Ecco: la cucina italiana è la regina, ma quella libanese è la principessa».

Calzante come esempio!

«La mia sfida è stata volere fare conoscere questa principessa all’Italia. Nel 1999 ho aperto un ristorante a Milano. Ma dieci anni dopo mi sono spostato qui, acquistando l’intero immobile. Su Tripadvisor abbiamo oltre un migliaio di recensioni e 5 stelle: in Italia credo un successo unico».

Qual è la chiave del successo de La Phoenicia?

«Commerciamo carne, e teniamo per noi quella di prima qualità: la scordoniamo, la sfilettiamo, è tutto interamente fatto qui. Siamo artisti del settore. La nostra cucina è contaminata da diverse culture gastronomiche: siamo un crocevia tra Iraq, Turchia, Iran, Giordania, anche la Siria. Il cibo ha colori, poche spezie, ed è estremamente raffinato».

Provieni da una famiglia di ristoratori?

«No. Mio padre aveva una piccola barca con cui faceva viaggi turistici, la spola sul mare tra Beirut e l’isola di Cipro, e a bordo si poteva mangiare. Ma noi siamo originari delle montagne libanesi: abbiamo gli animali, capre, manze, agnelli. Siamo macellai, perché conosciamo la cultura della carne per eccellenza. Ogni tanto qualcuno dice: vediamo come si mangia in questo ristorante etnico. Io mi arrabbio, perché noi non offriamo questa prospettiva. Il nostro è un atelier: entri e cominci un viaggio nella ricchezza della cultura enogastronomica del Libano. Vuoi scegliere qualcosa, fra le nostre proposte, o ti fidi di ciò che faccio portare?».

Mi fido in maniera totale.

«Qui ci sono sette dei nostri antipasti: ti sarà indicato come sono realizzati, uno ciascuno».

Solo a guardarli, viene l’appetito: l’aspetto visivo è straordinario, un’esplosione di colori, rivelatrice di sapori che saranno di un gusto eccezionale.

«Abbiamo, nell’ordine: l’humus di ceci; quindi, polpette di ceci – noi diciamo falafel –, sfoglia di carne trita, mista con agnello e manzo, e formaggio salato fritto, e un involtino con foglia di vite, riso, menta e limone. A seguire, insalata araba con verze, carote e maionese. Poi, una crema yogurt con menta fresca, labneh; a seguire un’insalata mista, pomodori, cetrioli, melassa al melograno, spezie di fiore seccato, e una nostra salsina per dare la giusta acidità al posto del limone. Assaggia quella: crema di melanzana affumicata, olio, pomodoro e salsa; quindi, la nostra insalata tabulè: con prezzemolo, pomodoro, menta fresca, olio e limone. Puoi accompagnare tutto con il nostro pane arabo».

È bello gonfio, pare un mappamondo.

«È così perché lo facciamo al momento dentro al nostro forno a legna. Prendi pure queste focaccine libanesi, a base di olio, mozzarella e timo, o in altra versione con timo, menta e pomodorino».

Tutto talmente buono, che ho già un senso di sazietà.

«Calma, calma: siamo solo gli inizi. Arriva adesso la nostra carne d’agnello. Qualcuno dice che sia la migliore al mondo. Questo animale è di una razza particolare, allevata in Spagna, da dove lo importiamo: nella parte posteriore, non ha la classica coda, ma la sua parte terminale è come a forma di sacchetto, interamente di grasso, guarda qui, ti faccio vedere un video per renderti conto…».

Non sapevo di questi agnelli!

«La loro conformazione fisiologica ha effetti ovviamente sulla muscolatura, la fibra è diversa: possono stare in cottura, nel forno a legna, sino a 20 ore. E osserva attentamente questi filetti di scottona: sono stati in frollatura al burro per 45 giorni, il mio ristorante è l’unico in Italia ed in tutta Europa nell’adottare questo metodo, e la loro bontà è unica, perché una volta che si mette il boccone di carne in bocca è come se si avvertisse un’esplosione di gusto e morbidezza. Adesso ti faccio provare le nostre costolette; o preferisci un assaggio di pecora, interamente frollata, per togliere il retrogusto di cacciagione, e molto morbida?».

La costoletta va benissimo, grazie.

«Devi anche assaggiare il nostro pollo marinato, preparato con erbe, spezie, arancia, limone e salsa suki. Li prendiamo, i polli, da un allevatore di Alessandria: sono tutti allevati a terra».

Il tuo locale è pieno stasera. Sempre così?

«Per il nostro agnello arrivano da Chiasso, da Genova, da Torino. Fanno bene i clienti a prenotarsi: il forno può contenere sino a 9 porzioni, con le quali soddisfi 30 coperti. Cuciniamo 35 agnelli a settimana. Al 90 per cento la mia clientela è fatta da italiani, di cui il 70 per cento sono fissi, stabili».

Vedo che riguardo ai vini nella vostra cantina avete etichette extralusso, complimenti!

«Il cliente ha varietà di scelta, però io gli suggerisco questo: perché non prendi un nostro vino libanese, che costa la metà, e ha la stessa bontà di un altro italiano, notissimo? Assaggia questo, e dammi il tuo sincero parere».

È eccellente, davvero!

«Hai visto?! Noi importiamo da due viticoltori in Libano, abbiamo 20 etichette per il rosso, e tre per il bianco. È inutile cercare altrove quando sai già di avere il meglio».

Un dolcetto, per completare?

«Sei certo di non volere assaggiare altre carni? Per dolce abbiamo alcune tipologie locali. Ne vuoi uno solo? Potrei suggerirti quello di pasta sfoglia con miele e pistacchio; oppure, tipico delle nostre montagne libanesi, quello con pasta filo, cotta nel forno a legna, crema a latte, acqua rosa, tanto pistacchio e miele. Alla fine della sua visita, noi regaliamo sempre i dolci ai clienti, da portare a casa».

Cioè?

«Una piccola confezione come segno di ospitalità. Qui si torna per amore, per la cucina unica, se vuoi anche per riconoscenza: mangi il dolce a casa tua e pensi, ci voglio tornare lì...».

Abbas quanti anni hai? Ti manca il Libano?

«Ho 47 anni. Giro il mondo: i miei amici sceicchi chiedono la mia presenza quando partono con i loro yacht e vogliono curata la ristorazione. Alcuni mi propongono di accompagnarli in montagna, hanno chalet incantevoli. Porto con me uno staff di 12 persone, organizzo tutto io. Mi è capitato di stare con i re di diversi paesi. Mi piace la mia vita. E sono contento anche di vivere a San Donato Milanese. Tornerei a Milano solo se avessi un locale in pieno centro, in Duomo o in Galleria. Ma penso che qui abbia proprio tutto: apro la porta del ristorante e il mondo arriva qui, con la cucina libanese al suo centro».

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