Giro del mondo a tavola partendo dal Lodigiano
LA CUCINA DELL’ANIMA Esperienze all’estero per gli chef del nostro territorio: un mix di gusti per il Natale
Buon Natale a tutti i buongustai!
Questa volta ho voluto fare un giro d’orizzonte. Con amici chef lodigiani che lavorano all’estero, o che fuori dall’Italia hanno maturato esperienze professionali importanti, o che, giunti da altri paesi, portano da noi le loro specialità. Ho chiesto loro cosa si mangia il giorno di Natale o nelle festività di questo periodo.
Lo chef FABIO GRANATA , che oggi lavora a Singapore, dove è molto apprezzato, al pari di quanto è rimpianto qui, racconta: «In linea di massima, per quello che ho visto (e sentito) fuori dall’Italia - soprattutto negli hotel - la domenica, così come per ogni festività, il Brunch è un obbligo. Credimi, si fa veramente fatica a trovare un hotel o anche un ristorante che in quei giorni faccia mangiare alla carta, questo perché la tradizione è, appunto, di avere un pranzo con tanto cibo e molte scelte, come fosse un pranzo in famiglia. Ovviamente ci sono diverse formule, ma negli hotel di solito si promuove un Full Buffet con anche qualche live Station dove gli chef cucinano o finiscono certe preparazioni stando appunto nella linea del buffet; questo permette più contatto col cliente, il quale osserva gli chef in azione e può fare domande per soddisfare le proprie curiosità in fatto di ingredienti, preparazioni e, in molti casi, restrizioni circa allergie ed intolleranze. Noi abbiamo la stazione della pasta con un bollitore e delle piastre ad induzione dove cuociamo o finiamo le due paste proposte e poi una sezione detta carving, cioè in pratica il taglio delle carni arrostite che sono nel menu, come il tacchino (per forza!), il carrè di manzo (praticamente pezzi di carne di manzo con osso del peso di circa 5/5.5Kg l’uno, l’equivalente di 5 costate di manzo ma in un unico pezzo) e a questi si aggiunge il prosciutto di Parma tagliato davanti al cliente con la macchina Berkel e il Jamon Iberico servito al coltello sempre davanti agli ospiti, nella nostra sezione dedicata ai salumi. Altro punto che non può assolutamente mancare è il seafood on ice, quindi ostriche (che apriamo anche queste davanti al cliente) e sashimi per quanto riguarda il crudo, completato da astice, gamberi e granchio reale, che vengono bolliti in un brodo aromatico, raffreddati, tagliati e presentati su ghiaccio per essere consumati freddi. Completano il tutto le sezioni degli antipasti (generalmente insalate) col sushi, i formaggi con la nostra scelta di pani freschi di giornata, gli altri secondi piatti al buffet e naturalmente una grossa sezione dedicata ai dessert».
nAltra osservazione interessante la pone lo chef DIEGO TURATI, che con il suo ristorante da Ilde (Lodi), condotto insieme alla moglie Elena, riflette come il pranzo di Natale non possa ridursi ad un rito di un paio d’ore, e propone la propria esperienza lavorativa maturata durante una sua permanenza in Danimarca: «Lì il menù delle feste dura dal primo dicembre al 31 di gennaio: è un modo per fare comunità e per valorizzare la propria identità. La gente prenota con largo anticipo i ristoranti migliori, addirittura quando va a pagare il conto chiede per l’anno successivo. Il menù è tradizionale, a base di specialità cui i danesi tengono molto: ad esempio, l’antipasto Lieverpostej, un meraviglioso patè di fegato di maiale, che ogni tanto propongo ancora oggi. Oppure il flaeskesteg, una porchetta, proprio la pancia del maiale, cotta a bassa temperatura, e su cui versare il grasso caldo, tagliata a fette sottilissime, e servita con insalata di cavolo cappuccio stufato, con cannella e chiodi di garofano; tuttavia sono così diversi e vari gli antipasti, che questo può prendersi come secondo. Un altro piatto molto apprezzato è quello delle aringhe sott’aceto con l’aneto. O la salsa di siero vaccina che funge da caramello sulle patate arrosto. Infine, per dolce, il Ris a la mande, una sorta di riso e latte, all’interno del quale il commensale più fortunato trova una mandorla quale segno di buon auspicio».
Lo chef ALESSANDRO MASCHERONI, invece, lavora a Parigi in un ristorante di Alain Ducasse. Il locale promuove cucina italiana, ma Alessandro, che vive nella città del Louvre da quasi tre anni, conosce molto bene le abitudini gastronomiche dei francesi: «A Natale qui si ama molto mangiare le carni. In particolare, il foie gras, cioè il fegato grasso ripieno, aromatizzato con i gusti che si desiderano; viene servito su un pane scottato. Il fegato deve essere marinato nei due, tre giorni precedenti, va cotto sottovuoto per un’ora e mezza, massimo due ore e deve arrivare al suo cuore a 56°. Ma vanno forti anche altre carni. Come l’oca, o la faraona, o l’anatra. Devono essere carni dal gusto deciso. Per dolce? No, il panettone solo su richiesta. I francesi amano un tortino caldo col cuore di cioccolato abbinato con lo zabaione e un buon bicchiere di champagne. Altra tradizione invece è per Capodanno, dove i francesi rigorosamente mangiano pesce, come noi italiani: l’antipasto è a base di caviale, ostriche e capesante, per secondo un pesce scottato o grigliato, con contorno di legumi; sì, è vero, non è facile scegliere un contorno adatto: potrebbero starci le carote piccole sbianchite, non più alte di 10 centimetri e nappate in padella col burro, o altrimenti verdure di stagione, come le cime di rapa lavate e lanciate in padella con aglio e olio, dopo averle ben rosolate, una noce di burro, che in Francia non manca mai, assolutamente».
Altre specialità da mangiare durante il periodo delle festività – a Capodanno poi costituiscono un vero e proprio rito – sono quelle albanesi. A descrivermele lo chef NEGERT del ristorante San Fereolo di Lodi; anche la signora Ariana, moglie di Bujar Mustafaraj, titolari del locale, mi illustra i piatti della cucina albanese, chiarendo che talvolta il dolce tipico lo fanno anche qui, mentre il cibo lo cucinano solo in casa, ma che tutti gli albanesi, anche se lontani dal proprio paese, sono rimasti legatissimi alle loro tradizioni. Dice Negert:«Da noi si fa un pranzo classico, per gli antipasti abbiamo la salsa yogurt, le nostre olive, diversi tipi di insalate e le polpettine. Il piatto forte è il tacchino al forno, servito su un letto di focaccia spezzettata e ricca di aromi; il pane è alto, e questa focaccia si chiama Kulac. La sua farina è quella 00, a cui aggiungere un solo pizzico di bicarbonato e sale: deve realizzarsi un impasto resistente, noi diciamo che solo mamme e nonne sanno fare bene questa fragranza, questa concretezza. Un’altra pietanza è la nostra torta salata, con sfoglia fatta in casa, e spinaci, cipolla e menta. Oppure con carne tritata, ricotta e uova: è simile alla vostra torta pasqualina ma di dimensioni più grandi».
La signora Ariana mi presenta virtualmente il dolce: «Ma un giorno te lo faccio assaggiare, promesso! Il nostro dolce si chiama bakllava: la sfoglia viene ovviamente realizzata a mano, servono uova, farina, burro, un po’ di yogurt: usiamo anche 80 sfoglie per volta, un foglio sopra l’altro, perché devi immaginare questa torta con una consistenza superiore alle Millefoglie: ogni 10 ripiani inserisci noci con lo zucchero, il burro, e uno sciroppo zuccherato con un pizzico di limone. Questa è una torta che devi prepararla almeno 10 giorni prima di mangiarla: deve infatti impregnarsi del gusto di sciroppo, con 5 bicchieri di zucchero e 4 di acqua e sempre quel tocco di limone, e si mantiene sino a 10 giorni dopo averla preparata».
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