
Generali / Centro Lodigiano
Lunedì 21 Aprile 2025
Il fascino senza tempo dell’Antica Barca: «Qui è nato il salamino d’oro»
LA CUCINA DELL’ANIMA A Cavenago d’Adda da Pierluigi Bonizzoni e sua moglie Rosangela Corrù
Ci sono luoghi che invecchiano e non perdono mai il proprio fascino. Restano così com’erano, e chissà a quando indietro nel tempo si potrebbero fare risalire le loro più remote origini: magari il primo oste che prese una caraffa riempiendola di vino da una botte di legno antico aveva i baffoni e non avrebbe mai, neppure lontanamente, immaginato che quel luogo avrebbe percorso così tanta storia.
Mi trovo a Cavenago d’Adda, alla Trattoria L’antica Barca, per incontrare Pierluigi Bonizzoni e sua moglie Rosangela Corrù. Mi ha accompagnato a quest’incontro il mio fraterno amico Beppe Traversoni, anima, colonna e capo carismatico della nuova realtà lodigiana di Slow Food: sa che questo è un locale che profuma di epica e di tradizioni, come una perla rara incastonata in un angolo remoto, da preservare e proteggere.
Pierluigi Bonizzoni è un uomo che non ama aprire il ventaglio delle nostalgie. Però tanta storia gli è passata davanti agli occhi e, in fondo, non gli dispiace raccontarla: «Perché io sono nato qui e anche i miei nonni materni erano del posto».
I nonni quando inaugurano l’Antica Barca?
«Nel 1948. Ma, già da prima, conducevano un’altra osteria, sempre a Cavenago; solo che il proprietario dei muri voleva ricavarne un’abitazione e per questo la famiglia era stata costretta a traslocare. Comunque, prima ancora della nostra, c’era stata un’altra gestione e, ancora prima, qui c’era la nonna di quella che sarebbe divenuta mia moglie, guarda un po’ gli intrecci della storia».
Limitiamoci allora alla sua famiglia. Chi c’era ai fornelli?
«L’indiscussa cuoca era mia nonna Carolina Vailati, mentre mio nonno Virginio Sampellegrini si occupava delle cose pratiche. Ho un bellissimo ricordo della nonna: era una donna espansiva, solare con tutti. Questa era veramente la trattoria del paese».
Un ricordo in particolare?
«Il giorno di chiusura, che coincideva con il venerdì. La nonna, per pranzo, ci preparava gli gnocchi e le polpette. Era un momento riservato ai parenti, ma si imbucava sempre qualche amico e la tavolata diventava sempre più lunga: vivevamo in una semplice e spontanea allegria».
Poi come sono evolute le cose?
«Con il tempo si sono affiancate mia mamma Domenica e le sue sorelle. E quando mia madre, agli inizi degli anni Sessanta, convolò a nozze con papà, decisero di rilevare autonomamente la gestione dell’esercizio».
Suo padre, Agostino Bonizzoni, era molto conosciuto e stimato.
«Lui si occupava della sala e del vino. D’altra parte, papà era un ottimo intenditore di vini: apprezzava in particolare quelli piacentini, ma si spingeva anche oltre, andava ad esempio nelle cantine di Scandiano, piuttosto che ad Acqui Terme».
La loro conduzione segnò una svolta, giusto?
«La trattoria cominciò ad essere una meta, soprattutto durante i fine settimana, di avventori provenienti dal Milanese, dal Cremasco oltre che dal Lodigiano: a trecento metri c’era l’Adda, il cui alveo successivamente si è poi spostato di qualche centinaio di metri più in là, e quindi tutti i pescatori all’ora di pranzo si riversavano qui».
Per mangiare pesce?
«All’epoca i pesci di fiume erano molto apprezzati: l’alborella, lo storione, ce n’era un altro che aveva un sapore incredibile, di melone: il temolo. Ma non è più quel tempo: i siluri e i gamberi rossi, che mangiano le uova, hanno ridotto le risorse ittiche. Però non c’era solo il pesce; anzi, la cucina tipica lodigiana era il nostro biglietto da visita: andava forte il fagiano piuttosto che la lepre in salmì e altri tipi di selvaggia, mentre papà aveva preso la tradizione di cucinare al camino la porchetta».
E a proposito di tradizioni….
«È in quel periodo che comincia quella relativa al salamino d’oro. Sono 30 anni che si svolge tale competizione».
Ma come originò?
«Avvenne tutto in modo casuale: il pittore Luigi Poletti aveva presentato qui da noi un suo libro di disegni, e c’era anche Giuseppe Moroni, storico cliente del locale; con mio padre cominciarono a discutere su quali qualità dovesse possedere il salame perfetto. Ne nacque una disputa appassionata».
La commissione giudicante ebbe un personaggio illustre, amato da tutti: Bruno Pizzul.
«Moroni frequentava Aldo De Martino, l’inventore della Moviola per le trasmissioni televisive sul calcio, e quest’ultimo era amico con Bruno Pizzul. Fu così che questo importante giornalista divenne uno dei protagonisti della manifestazione. Ma vennero anche l’avvocato Prisco dell’Inter, e l’attore Beruschi. Ma, oltre a quella sul salamino d’oro, promuoviamo altre manifestazioni, come un’estemporanea di pittura, per valorizzare la realtà del territorio, e l’allestimento del presepe in paese».
Ma quanti salami si assaggiano?
«Nelle prime edizioni una ventina, ma siamo arrivati a sessanta competitori. Adesso ci siamo fermati a 48. È un numero importante oggigiorno: prima il salame, anche se non si dovrebbe dire, si faceva in ogni cascina; inoltre, molte macellerie sono chiuse, anche qui in paese non c’è più la bottega di carni».
Arriviamo così ai tempi d’oggi.
«Mia madre resta in cucina sino al 2020, poi le subentra mia moglie Rosangela. Qui, relativamente al cibo, è giusto che racconti lei».
Rosangela, cosa c’è in menu?
«Il nostro menu lo cambiamo, mediamente, ogni due mesi. Dopo un assaggio dei tradizionali antipasti della casa, proporrei un risotto con pannerone, mantecato con miele e rosmarino, salsiccia e funghi porcini. Oppure i pisarei piacentini, rispetto al quale piatto tradizionale, abbiamo apportato una variante: usiamo le fave fresche anziché i fagioli, con aggiunta di pecorino e guanciale croccante. O ancora risotto con le barbabietole e la crema di taleggio».
Per secondo, una bella proposta?
«Suggerirei coniglio al forno con aromi vari o con timo e limone. Si tratta di animali allevati alla vecchia maniera, la gente apprezza soprattutto le zampe, quelle lunghe, perché più saporite, ma i pezzi di un coniglio sono sempre omogenei nel gusto. Oppure una porchetta allo spiedino che cuciniamo ancora sul nostro camino, quello esterno però, non quello che ha visto, monumentale, all’ingresso».
In effetti, la porchetta, fatta bene, ha il suo perché!
«Abbiamo anche altre proposte: ad esempio, polenta e brasato; in generale, qui va forte la selvaggina, con provenienza certificata dei capi. Un classico piatto richiesto è la tagliata di manzo con la rucola e raspadura».
Mi piacerebbe un volatile, particolare però.
«Una tagliata di petto d’anatra? Ha un sapore ruspante, noi la serviamo con crema di peperoni. Oppure le quaglie arrosto con pancetta e cipolle caramellate».
Deliziose le quaglie! Un dolcetto, per concludere?
«Oggi c’è la crostata con marmellate di pesche ed amaretti. O il dolce di mandorle lodigiano con la crema di mascarpone. E poi il Tiramisù classico, oppure al giusto di pistacchio o di arancia».
Si pranza qui col menù di lavoro, ricordo bene?
«Tutti i giorni, compreso il sabato, a 13 euro. Per cena siamo aperti il venerdì ed il sabato, e anche in altre sere durante la settimana, su richiesta, con un numero minimo di partecipanti, fatta eccezione per il giovedì che è il nostro giorno di chiusura».
E la domenica?
«Quel giorno siamo aperti solo a pranzo».
Rosangela qual è, secondo lei, il segreto più vero dell’Antica Barca?
«Arrivano clienti nuovi, ma permangono quelli storici; e noi rimaniamo fedeli a noi stessi: non ci siamo mai approfittati della buona nomea, perché l’onestà è rimasta un principio che, davvero, penso ci rispecchi. Siamo sempre una trattoria di famiglia, unita da vera armonia».
© RIPRODUZIONE RISERVATA