Generali
Venerdì 04 Ottobre 2024
«Il risotto con il gelato per i palati esigenti»
LA CUCINA DELL’ANIMA Gianluca Gennari è il titolare dell’osteria “La Vecchia Corte” di Cavacurta
Ci sono già quattro buoni motivi perché lo chef Gianluca Gennari, titolare insieme alla moglie Carla Pezzi dell’osteria La Vecchia Corte di Castelgerundo (ex Cavacurta), mi vada a genio.
Intanto è un uomo che ha guardato dritto in faccia il senso della sconfitta, sapendosi rialzare e vincendo, con umiltà ed intelligenza, la sfida professionale che s’era prefissato.
Poi, perché è un uomo delicato, alla radice dei suoi pensieri c’è una grande sensibilità: almeno relativamente al cibo sui piatti, vorrebbe che fosse sua moglie Carla Pezzi a raccontarne pregi e valori; ma la signora è umile quanto il consorte, e discreta il doppio: non le tiro una sola parola che sia una, solo qualche gentile sorriso.
Quindi, perché Gianluca è un musicista, gli capita di suonare in qualche locale lombardo, e qualche volta anche nella sua osteria. Con una logica che presuppone un buon gusto, sono disseminati qui e là diversi strumenti musicali, a fiato.
Quarta ed ultima ragione: lui non lo ricorda, ma a me è capitato diverse volte di mangiare qui, e ho sempre trovato eccellenti le offerte della cucina.
Allora, chef, da cosa partiamo?
«Dalla circostanza che in cucina non ci sono più io. Sono stato davanti ai fornelli per vent’anni, poi ho sentito la necessità di cambiare».
Come mai?
«È stato come un automatismo. Ed è accaduto dopo il Covid. Forse la necessità di recuperare il valore delle relazioni: la sala aiuta in questo, i rapporti con i clienti cerco di non ammantarli di ovvietà. Adesso in cucina ci sono mia moglie Carla ed un’altra ragazza».
Ricordo bene, o comunque quella del cuoco non è stata la tua prima attività?
«Mio padre ha fatto l’artigiano, l’elettricista: avevo imparato anche io questo mestiere. Poi nel 1996 ho aperto un bar a Camairago. Ma io sono originario di Montodine e, per aprire il locale già dall’alba, dovevo viaggiare di notte. Mi sono messo a cercare un’alternativa, che fosse poi vicina al paese di mia moglie, che è qui di Cavacurta: alla fine, qualcuno mi ha parlato di questo locale e nel 2000 sono arrivato qui».
Questo è un immobile storico, che ha pure una cantina sotterranea a dir poco incantevole.
«Verissimo. Qui, agli inizi del Novecento, vi era un albergo di posta. Il locale era stato acquistato da un enologo, un certo Rezzovaglio, ma poi visto che la figlia aveva scelto altre strade, avendo preso il diploma al Conservatorio come musicista di pianoforte, lui aveva ceduto la licenza. Si erano succedute nel tempo diverse, differenti gestioni. L’ultima aveva denominato questo locale come Trattoria del Sole. Trovando già utilizzato questo titolo, anche su altre realtà, acquistando con Carla anche l’immobile, ho preferito chiamare la nostra osteria La vecchia Corte».
Mi hai accennato a momenti di crisi.
«Tu la ricordi la prima crisi economica, quella avvenuto alla fine della prima decade del 2000?».
Mi pare cominciò intorno al 2008.
«Esattamente. Noi avevamo tantissime richieste per i pranzi di lavoro. Venivano tanti operai delle imprese edili. Intorno al 2012 la clientela cominciò a diradarsi perché pressoché tutti i cantieri erano fermi: da 100 coperti eravamo passati a 20, quando c’era movimento. Rendo l’idea del crollo? Quello fu un periodo veramente difficile».
Come lo hai affrontato e, soprattutto, superato?
«Cercando soluzioni. Mi convinsi che era necessario cambiare direzione: abbandonare i pranzi del mezzogiorno, e puntare sulla qualità. Ma questa non la inventi. Devi saperla individuare e quindi valorizzare. Ho cominciato a visitare capillarmente i singoli produttori, a sapere scegliere quelli che potevano essere nostri riferimenti. Oggi abbiamo anche uno spaccio, all’interno del locale, dove c’è una selezione dei prodotti che più noi apprezziamo e che proponiamo come vendita diretta: fanno parte della selezione del Sole, così da me chiamata per richiamare la tradizione di questo luogo».
Gianluca, una domanda: ma che caratteristiche devono avere questi prodotti?
«Per me, non basta che siano buoni, cosa che do per scontata. Occorre che ogni singolo prodotto esprima la serietà che c’è dietro a chi lo ha lavorato: il fatto che quel cibo esprima che si è dato tutto per renderlo il prodotto di eccellenza che è».
Quindi, banalizzo, addio al pranzo del mezzogiorno, il locale è passato dal buongiorno alla buonasera?
«In un certo senso, se ti piace dire così, il concetto è esatto: ora siamo aperti dal giovedì alla domenica solo di sera, e a pranzo solo il sabato e la domenica».
Allora, facciamo che virtualmente arrivo una sera a cena e dico: oste, cosa c’è per antipasto?
«Noi lo chiamiamo proprio così: antipasto. Anzi, il grande antipasto! Si tratta di una selezione di salumi, dalla culaccia al crudo alla coppa al classico salame cacciatore, e di formaggi, con un grana avente 20 mesi di stagionatura, salvacremasco e zola. Quindi serviamo la nostra giardiniera».
Ottimo! Un primo, invece?
«Noi andiamo a meraviglia con i risotti, quello classico è con la salsiccia lodigiana e la raspadura. Ma ogni mese il menu cambia. Abbiamo anche un risotto con gelato; ad esempio, questo mese lo proponiamo con la zucca, profumato al rosmarino e con gelato di mostarda ed amaretti. Un altro risotto è al pomodoro con gelato di basilico».
Strana questa abbinata con il gelato.
«La macchina del gelato era stata riparata da mio padre, ed io quindi vi sono legatissimo».
E se non volessi il risotto, sai che sono un po’ piantagrane io…
«Con fame non ti lasciamo! Intanto, abbiamo le crespelle piacentine, con ricotta e spinaci. Oppure i paccheri con sugo di pomodoro e funghi porcini, besciamella e grana. O ancora gli gnocchi di patate con crema di mela tipo melinda e salvacremasco a scagliette. Ma, ancora, potrei proporti, seppure saltuariamente, pasta e fagioli, raviolini in brodo, anolini al brasato, ciascuna con pasta fatta in casa».
Ci vuole forza di braccia! La vendete pure al banco?
«Vero, ci vuole un’energia infinita! Per fare i ravioli se ne va una mattina intera; no, non possiamo venderla al banco, perché davvero si tratta di un lavoro immane».
Prendiamo un secondo?
«Sei proprio di buon appetito! Perché la gente dopo un antipasto così e un primo, quasi preferisce fermarsi e passare al dolce. Comunque abbiamo in menu diverse alternative: si va dai piatti della tradizione, trippa, cassuola, oppure anatra e faraona, o una tagliata di manzo con composta di fichi caramellati. O ancora bolliti vari e cotechino, Qualche piatto lo facciamo su ordinazione specifica, come l’oca. Mentre abbiamo smesso di fare i pesciolini fritti in quanto non sono più autoctoni».
Abbiamo fatto un accenno al dolce. Cosa mi suggerisci, lo lascio scegliere a te.
«Su tutti, la crostata morbida della nonna Onorina: è una frolla morbida, chiusa, con marmellata di lampone ed amaretti leggermente imbevuti nel liquore di alkermes. Oppure un Tiramisù che ha un mascarpone di eccellenza. Altrimenti un salame al cioccolato, o un semifreddo al gusto di pesche e ciliegie; o la classica torta di mele, piuttosto che con le nocciole».
Tra musica e ristorazione, ti resterà poco tempo.
«Ora sto ragionando su un nuovo progetto: un pic beach sulla chiatta di Pizzighettone, potrebbe avere sviluppi interessanti».
Di cosa vai più orgoglioso?
«Sono contento quando mi accorgo di sapere trasmettere allo staff che ci collabora la passione non solo nostra, ma di tutti i prodotti che arrivano, in un modo o nell’altro, nelle offerte della nostra Osteria».
Un pensiero altruistico, non trovi?
«Sogno un mondo fatto di relazioni nuove».
© RIPRODUZIONE RISERVATA